sabato 12 marzo 2011

Finiscono anche gli amori


Ci sono sentieri di montagna che percorri salendo tra  boschi di larici, ascoltando l'acqua di un torrente gorgogliare giù nella gola. Poi gli alberi si fanno più radi, restano solo massi e pietre, la strada si fa più disagevole, più stretta, e dopo una curva a gomito ti trovi davanti il burrone o un precipizio oppure, se sei più fortunato, un pendio talmente ripido che non puoi neppure immaginare di inoltrarti.

Finiscono così anche gli amori, talvolta, lasciandoti lì a guardare nel vuoto, a indagare in quell'abisso che non avresti mai pensato di incontrare dopo la curva di una discussione o di un tradimento. I meno forti, i più sensibili, si lasciano andare, si fanno inghiottire da quel vuoto. Come la poetessa milanese Antonia Pozzi, lacerata dall'amore per i suo professore di latino e greco al liceo classico Manzoni: osteggiata dal padre, delusa dallo stesso amante, si lasciò scavare nel cuore da quell'ansia, mentre quel dolore si ingigantiva e il suo fuoco bruciava le corde che la ancoravano alla vita. Antonia Pozzi il 2 dicembre del 1938 aveva ventisei anni. Andò all'Abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, inghiottì decine di barbiturici e si sdraiò sull'erba gelida e secca di fronte alla chiesa, attendendo che l'abisso la inghiottisse. Il buco nero la avvolse solo la sera seguente, al Policlinico, dove era stata portata dopo che un contadino l'aveva trovata addormentata nel prato.

L'amore finisce, si sgretola come una collina che frani a valle e intanto il cuore si gonfia, pompa emozioni, sale la bile, il fegato assorbe tossine. Le parole si trasformano in lance acuminate, in pugnali che lacerano la pelle, in pietre che feriscono, diventano spine conficcate nella carne dell'altro. Oppure diventa soltanto silenzio, un assordante e fragoroso silenzio, un vuoto colossale tanto vicino al nulla che ti chiedi se è logico che faccia così male il non esistere. O ancora diventa memoria, l'immagine di un biondo e sottile alzarsi dal divano, di un ultimo gesto rimasto nell'aria, tintinnante di bracciali e profumato di narcisi.

Finiscono nel nulla anche gli amori, dunque, e il bene voluto sembra sprecato, buttato via. Oppure aleggia ancora come un fantasma - e quello spettro è il ricordo, è l'illusione caduta, spenta come svaniscono certe giornate: un'ultima fiammata avvampa e incendia l'Occidente; si vive dell'ultimo bagliore del crepuscolo mentre cala la sera fresca e buia. L'unica cosa da fare è voltare le spalle all'abisso e riprendere il cammino, a un bivio svoltare su un altro sentiero e ridiscendere.


Peters

Fotografia © Hans Peters