sabato 29 dicembre 2018

La bella amazzone


Nell’incendio dorato del tramonto rimane una lunga scia rossastra proprio dove l’orizzonte cede il passo alle piante spoglie oltre l’Arcivescovado. È la ferita sanguinante del mio cuore colpito dalla freccia scoccata da Cupido, centrato dal dardo piumato nell’ora d’oro che spegne il giorno d’inverno a secchiate di nebbia.

In quel velo di foschia l’apparizione si è dissolta, svanita come un etereo fantasma dove le colonne intersecano la via e nuove strade e nuove vite si spalancano. Come nella poesia di Frost per una via si è dileguata la bella amazzone che mi ha colpito pochi istanti prima con la sua bellezza, volata come fumo nel nulla del dicembre milanese, mischiata ad altre donne e ad altri uomini che si muovono frenetici con borse piene di pacchetti regalo in questo giorno oramai prossimo a Natale. Frost aveva meno dilemmi: due erano le strade. Qui le mie scelte sono disparate: ricercarla verso San Babila o verso il Duomo? Pensare di ritrovarla in Via Santa Radegonda o in Via San Pietro all’Orto? Pescarla in Santa Tecla o in Via Larga? Le strade di città sono intricate come un antico bosco, i negozi sono le pareti di un complicato labirinto illuminato: la bella è ormai perduta…

Rimpiango già il suo farsetto scuro e il cappellino, le lunghe gambe inguainate, gli stivali, i capelli color rame imbrigliati in una lunga treccia. Il suo riflesso arde ancora nell’aria…


2009


Milano

FOTOGRAFIA © LUIGI PETRAZZOLI

sabato 22 dicembre 2018

Un vecchio Super 8


C’è un vecchio filmino da qualche parte in un armadio, insieme ad altre bobine infilate in una scatola da scarpe. Se ci penso, mi immagino le lingue delle pellicole che fuoriescono appena dall’involucro, la maggior parte nere, alcune mostrano delle figure più chiare, quadratini che sembrano tutti uguali ma che impercettibilmente diversi, proiettati in velocità danno il senso del movimento. In quel vecchio filmino c’è la ripresa di un Natale lontano nel tempo: sembra ieri quando ci pensi, sembra che sia stato solo l’anno scorso o due, tre, cinque anni fa. Invece è un Natale dei primissimi Anni ’70, quando si cominciava a portare i pantaloni a zampa e a indossare camicie fiorate. No, non mio padre: lui in quel filmato non c’è perché reggeva la telecamera Pathé, un aggeggio piuttosto pesante con l’oculare di gomma e il galletto stampigliato su entrambi i lati, però ricordo com’era vestito. Indossava un abito grigio con una cravatta rossa a disegni dorati, la massima concessione estetica allo spirito natalizio.

Io sono a quattro zampe sul tappeto – uno di quei tappeti pelosissimi che andavano di moda allora – sotto l’albero di Natale, e scarto i doni che nella notte mi ha portato Gesù Bambino: Babbo Natale non si era ancora materializzato, avrebbe atteso qualche anno ancora, fiondandosi sull’onda delle pubblicità della Coca Cola e sui programmi delle televisioni commerciali. Eccomi lì, a sei anni, compitare le parole su uno dei libri dell’enciclopedia che mi è stata regalata – sono i famigerati Quindici, li sfoglierò a lungo durante la mia infanzia, imparando a costruire, a sognare, a viaggiare con la mia fantasia di figlio unico. “Sa…” ma la parola è ostica, me la sono scelta proprio bella, “Sa-ara”. “Bravo, Sahara”, giunge la voce fuori campo di mio padre “è il deserto più grande del mondo”. Intanto compare la mano di mia madre, che con la scusa di mettermi a posto il ciuffo e il cravattino, invece mi accarezza dolcemente. Appare anche lei nell’inquadratura, con un vestito blu. Com’erano belli quegli anni, quando la festa ci si vestiva appunto “della festa”.

Poi c’è uno scatto avanti: sono sempre sul tappeto e sto manovrando una macchinina rossa con delle righe gialle, è una Chevrolet Daytona e funziona a batterie. Infilando una scheda perforata si muove lungo un tragitto predefinito, che è quello di un famoso circuito: Montecarlo, Indianapolis, Monza. La seguo zigzagare sul pavimento di palladiana, passare tra un vaso di fiori e la piantana di una lampada. È un Natale felice, intarsio i ricordi con vecchie fotografie di gente che ho amato e che non c’è più: mio nonno con il cappello, mia nonna con il paletot dal collo di pelliccia che mi piaceva tanto restare ad accarezzare. C’erano anche loro in quel Natale dei primi Anni ’70 a fare festa con noi.

Basta… Il tempo non è un nastro che si può riavvolgere. Questa nostalgia non solo mi bagna le palpebre di lacrime, mi sommerge come un’onda, mi strazia. Avevo idea di andare a cercare quel vecchio Super 8 e proiettarlo a Natale ma ora non se ne farà più niente. Mi siederò semplicemente a tavola con i miei, con gli zii, con i cugini e i loro bimbi. E il piccolo D. gattonerà sul tappeto rasato che usa adesso.

2011


FOTOGRAFIA © BLOGSAVENUE