sabato 27 settembre 2014

Attraversando il Rubicone

 

Nell’agosto di molti, molti anni fa – a ottobre avrei cominciato la seconda media – passai le vacanze estive, una decina di giorni, a Gatteo A Mare, sulla riviera romagnola. Il mio divertimento allora era di raggiungere lungo la spiaggia il vicino porto di Cesenatico per osservare le barche e i pescherecci.

Ma alla mia passione per la storia romana non poteva mancare un’altra meravigliosa scoperta: lì sfocia in mare il Rubicone, il famoso fiume che segnava il confine tra l’Italia e la Gallia Cisalpina e che i generali romani non potevano passare in armi. Giulio Cesare invece, di ritorno dalla Gallia, lo attraversò – facilmente, vista la sua esiguità – il 10 gennaio del 49 avanti Cristo con il suo esercito di undici legioni pronunciando una delle frasi rimaste celebri nella storia dell’umanità, “Alea iacta est”, il dado è tratto. Ovvero, tradotto in termini moderni: sia quel che che sia, me ne frego, succeda quel che succeda.

All’epoca lungo la spiaggia non c’era il bel ponte ciclopedonale con il busto di Cesare, costruito negli anni 2000, ma uno strano condotto che attraversava il fiume a quattro-cinque metri di altezza: senza barriere di sicurezza, senza divieti. Vi passavo sopra tutti i giorni per raggiungere gli amici che avevo qualche centinaio di metri più avanti, a Bellaria. E, invariabilmente non mancavo di pronunciare quella frase, da stupido ragazzino qual ero: “Il dado è tratto”…

 

sabato 20 settembre 2014

Agrigento

 

Al campo dell’Olympeion il gigantesco telamone dorme sulla terra rossastra, fine come sabbia, ma non la sabbia di qui, quella vulcanica che ho visto alla spiaggia di San Leone quando mi sono fermato a pranzo. Il tempo è fermo, immobile in questa Valle dei Templi adagiata tra la campagna e il mare – non ci fosse la città moderna distesa come un indumento sulla collina, non risaltasse quel lungo viadotto autostradale che appare all’improvviso dietro il Tempio di Castore e Polluce. Il tempo sembra sempre fermo in Sicilia: l’ho sentito bloccarsi a Ragusa Ibla, nella piazza davanti alla Cattedrale di San Giorgio; ugualmente ho provato quella sensazione guardando la piana da Piazza Armerina. Forse è per via della luce, così diversa da quella cui sono abituato nel verde lombardo, o è per via di quel colore brunito che permea ogni cosa, case e terre...

Ma poco fa, al Tempio della Concordia, l’ho sentito fuggire all’indietro il tempo, l’ho udito scorrere come un fruscio – forse era soltanto il vento che soffiava leggero dal mare e giocava con le erbe aride sotto le pale dei fichidindia. Ho fantasticato quella peristasi riempita di vita, la vita di oltre duemila anni fa: la Vestale di Era mi considererebbe certo un empio vedendomi frugare le colonne con lo sguardo, provando a immaginarla vestita di una tunica bianca e celebrare i suoi riti. E fuori, al di là del tempio, oltre lo strapiombo, triremi veloci solcavano il mare azzurro di Sicilia, portando mercanzie e soldati.

Mi ha distolto dai miei sogni ad occhi aperti l’ombrello a fiori della guida, la sua voce monocorde si era persa nel mormorio del mare fino a che non ha sollecitato il riso delle donne raccontando una storia sulla verginità delle sacerdotesse. Adesso ha finito il suo giro, ci indica l’uscita. La ragazza del furgoncino delle granite ricorda nei tratti la Venere Ericina...

 

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

sabato 13 settembre 2014

La partenza

 

La sera si era fatta un po' più fresca e un chiarore giallo lontano significava che il sole ancora non era scomparso del tutto. Le due ragazze parlavano in dialetto, camminando verso i negozi del centro, e Giovanni faticava a capire: era una lingua che fluiva sciolta, dolce come una carezza, e le sibilanti fischiavano un attimo più del normale.

«Cosa dite?» si arrischiò a chiedere, temendo di essere indiscreto. Fu Anna a rispondere: «Miriam dice che non sa decidersi a partire, questa compagnia - insomma, noi tre insieme - è una cosa bellissima. Non ci sono amori o motivi di rancore: siamo solo amici, tre amici che stanno bene insieme e si conoscono da tanti anni». Ma Anna non si risolveva a venire al nocciolo della questione. Fu Miriam a dire tutto d'un fiato: «Ho trovato lavoro in Australia, parto domattina».

«E allora questa tua ultima sera deve essere memorabile!» esclamò Anna con un tono di orgoglio nella voce. Giovanni taceva pensieroso. Le luci della sera si accendevano e si accendeva anche un'euforia strana nei ragazzi che, seduti su un muretto, cercavano di decidere come festeggiare degnamente l'ultima sera di Miriam. Era un'euforia che contrastava con la notizia che la ragazza aveva dato prima all'amica del cuore, poi a Giovanni, come se le due ragazze volessero prepararlo, quasi spinte da un istinto materno.

Così finì che noleggiarono un tandem a tre posti e iniziarono a scorrazzare per le tranquille vie della cittadina disputandosi l'onore di guidare. Giovanni quella sera era diverso dal solito: allegro, spensierato, divertente, lontano da quella timidezza che inteneriva. Anna se ne accorse, si disse tra sé: “Se Giovanni fosse sempre così potrei innamorarmene forse, ma non sarebbe più l'amico così grande che è”. Attribuì quel turbamento alla particolare situazione: si sentiva anche lei come ebbra, come se avesse bevuto. “Bevuto per dimenticare che domani Miriam se ne va per sempre” pensò con una nota di tristezza.

Pedalavano veloci, canticchiavano, scherzavano. Si avventurarono per strade sconosciute e finirono inevitabilmente con il perdersi. Erano in una zona in cui le vie avevano nomi di musicisti: Wagner, Mendelssohn, Beethoven; non si raccapezzavano più.

Finalmente ritrovarono la strada e condussero il tandem al noleggio. Erano accaldati, rossi in viso. Si incamminarono quasi inconsciamente verso il mare. Giunsero al limitare della spiaggia quando scoppiarono i primi fuochi d'artificio. «Festeggiano te» scherzò Giovanni. «È la notte di San Pietro e Paolo» si schermì Miriam. L'ebbrezza era scomparsa, ora l'animo era preda di una malinconia dolcissima. Si sedettero sulla sabbia a guardare lo spettacolo pirotecnico. Miriam giocava con la sabbia: ne prendeva dei pugni e poi la lasciava filtrare sui piedi nudi, Era fredda ed era piacevole sentirla sulla pelle, quasi la solleticava.

«Come sono triste, Miriam,come sono triste!» riuscì a proferire Anna, quasi piangendo. Giovanni la strinse a sé, ora calde lacrime le sgorgavano sul viso. Giovanni la sentiva sussultare nel singhiozzo, le accarezzava la schiena. Miriam si alzò e le si sedette vicino, con una mano le asciugò il viso, come a una bambina capricciosa. Anna si calmò ma rimase stretta a Giovanni, come se non volesse perdere anche lui.

Miriam partì poco dopo l'alba. Giovanni e Anna andarono a salutarla all'aeroporto. Miriam non pianse, si rivelò fortissima. Anna continuava a passarsi il fazzoletto sugli occhi. Anche a Giovanni sfuggì una lacrima nello stringere la mano a Miriam dopo averle baciato le guance. «Il ricordo di me resta qui, non parte» disse Miriam e, rivolta a Giovanni: «Abbi cura di lei, ora siete voi due soli».

Il cielo era plumbeo, minacciava pioggia. Anna e Giovanni rincasarono abbracciati. Un raggio di sole squarciò le nuvole, in breve sarebbe tornato il sereno. Fu allora che Anna sentì di essersi innamorata di Giovanni.


1995

 

Behrens1978

HOWARD BEHRENS, “THREE PEOPLE ON THE BEACH”

sabato 6 settembre 2014

Generazione fuori sincrono

 

“Essere nati a cavallo del 1960 significa far parte di una generazione fuori sincrono, arrivata sempre un po’ troppo presto o un po’ troppo tardi per tutto. Ma una cosa differenzia quella generazione da tutte le altre, rendendola unica: la memoria visiva comune. I ragazzini di allora sono gli ultimi ad avere ricordi in bianco e nero, i soli ad avere tutti le stesse nostalgie”. Così scriveva Gianluca Nicoletti su Tuttolibri n. 1847 del 19 gennaio 2013, recensendo l’antologia delle strisce di Nick Carter, fumetto di Bonvi e Guido De Maria.

È verissimo: siamo noi baby boomers – i ragazzi degli Anni  ‘60 e ‘70 – i depositari di questa memoria di un tempo che fu: andavamo alle elementari o alle medie e la sera in televisione trovavamo “Supergulp – fumetti in tivù”, ci deliziavamo con quelle storie minimamente animate in cui comparivano lo stravagante detective Nick Carter con il cinesino Ten e il gigante buono Patsy – “…e l’ultimo chiuda la porta!” è diventato uno slogan di uso comune – con Alan Ford e il Gruppo TNT, Tintin, l’Uomo Ragno, gli Sturmtruppen, i Fantastici Quattro.

Memoria visiva comune: chissà se le nuove generazioni ne avranno mai. Tutto ormai si disperde in mille rivoli, in mille diverse vie tecnologiche. La mia infanzia, la mia adolescenza hanno potuto contare solo sulla radio e la televisione e i canali si contavano su una sola mano: il Nazionale (Rai 1), il Secondo Canale (Rai 2), la Tv Svizzera e Tele Capodistria. Poi sarebbero arrivate le televisioni locali, ma era ormai il 1977, Rai 3 nel 1979 e i canali di Berlusconi nei primi Ottanta.

Sembra di parlare di tempi remoti, ora che non facciamo un passo senza il nostro smartphone e passiamo ore davanti al computer e ai social network. Allora le trasmissioni cominciavano alle 17, addirittura alle 18 d’estate, con la TV dei ragazzi. Prima di quell’ora correvamo nei cortili, giocavamo, leggevamo, sognavamo di essere pirati o calciatori, astronauti o piloti…

Ci siamo persi l’epoca d’oro del beat, il Sessantotto, persino il Settantasette. Siamo stati paninari e poi yuppies. Ci siamo illusi con la Milano da bere. Ma ricorderemo sempre quei giorni in bianco e nero che viravano lentamente a colori mentre noi facevamo i compiti sul tavolo di cucina.