sabato 9 febbraio 2019

La lettera


“Fa' ciò che mi scrivi; fa' tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell'oggi". Così finiva la lettera e riconobbi le parole di Seneca a Lucilio. Era un gioco che portavamo avanti da tempo quello di concludere le nostre missive con una citazione. Spesso, ormai consegnata alla fantesca la lettera, mi sovveniva un’altra frase che sarebbe stata migliore di quella apposta. E mi crogiolavo in quel rimpianto attendendo per giorni la risposta.
Ora la mossa toccava a me, come in una partita a scacchi. E non è l’amore un gioco in cui attendere pazientemente il proprio turno e poi muovere il pezzo giusto?

La sera era calda e luminosa: la luce della luna si univa a quella tremolante della candela. Stavo leggendo il “Chretien de Troyes” quando il suono degli zoccoli mi aveva avvertito dell’arrivo della lettera. Dal tramonto si passò alla sera mentre leggevo le sue parole e immaginavo la bella mano che teneva la penna e intingeva l’inchiostro nel calamaio per tracciare quella scrittura inclinata e ondulata che rassomigliava a uno splendido mare. Era in quelle onde che mi perdevo, come nelle onde dei suoi capelli se solo lei fosse stata lì con me ad ascoltare il frinire dei grilli: i suoi capelli chiari che profumavano di lavanda, come la carta che ora tenevo in mano come un prezioso reperto.

Cominciai a scrivere: “Carissimo amore mio, l’attesa di ogni tua lettera è un tormento quasi quanto il dolore di non poterti stare accanto. Quando finalmente viene Dominique a portarmi la lettera appena giunta, un fuoco mi pervade, un’emozione intensa che mi accende il petto e raggiunge in breve tutte le membra. Il tagliacarte corre in fretta a lacerare il sigillo di ceralacca e poi la busta, le mani tremano nell’estrarre il foglio, gli occhi saltellano sulla carta fino a trovare le parole, a leggere quei segni a inchiostro viola che si trasformano in parole, frasi, discorsi. Le tue parole, le tue frasi, i tuoi discorsi. E mi figuro sia tu a leggermela, sento la tua voce così bella e dolce pronunciare quei preziosi periodi…”

Alla luce fioca della candela la mano scorreva con grazia, la penna scivolava sulla carta. Apposi la frase finale, un verso di un poeta contemporaneo, De Florian: “Il piacere d’amore non dura che un momento, / la pena d’amore dura tutta una vita”. E presi a carezzarmi i seni, a immaginare le sue piccole mani dolci sulla mia pelle, la sua boccuccia rosa sulla mia… Un giorno o l’altro dovrò dirglielo che sono una donna…

2010


JOSEPH FRANCIS WALKER, “LA LETTERA D’AMORE”

sabato 2 febbraio 2019

Il treno dal nome gentile


Il treno che mi conduce lontano ha nome gentile e sedili comodi, il vagone è arredato nei toni del verde e del blu. Sono seduto comodo al caldo e guardo scorrere il panorama dietro il finestrino: le valli, i fiumi, i paesi e le stazioni che si avvicendano hanno come un’impronta di te quasi che il tuo volto sia stato inciso sul vetro.
È da quel pomeriggio di tempesta, quando l’acqua salata sferzava il mio viso e le lacrime si confondevano con gli spruzzi delle ondate, che la tua immagine mi si è impressa sulla retina, tatuaggio indelebile. Sembra strano che in certe situazioni l’amore possa nascere, che possa sbocciare come un fiore nell’arido cemento.
Quanto vorrei riconoscere adesso la tua andatura lungo il corridoio, avvolta in un morbido cappotto scuro, o fuori, in qualche piccola stazione dal nome sconosciuto con stenti fiori nelle aiuole invernali coperte dalla neve: tirerei l’allarme, scenderei al volo.
Ma il treno dal nome gentile corre nel vuoto dell’ultimo pomeriggio, corre nella nebbia che annienta ogni cosa e tu sei un’ombra stampata dentro gli occhi che stancamente si chiudono al buio.

2002


EDWARD HOPPER, “COMPARTMENT C, VOITURE 193”