Cominciava “la notte”. Non potevano dormire, i congedanti. L’adrenalina, l’ansia, l’angoscia consentivano solo brevi sonni intermittenti. E parlavano, sottovoce.
Fece colazione, pensando che per l’ultima volta avrebbe avuto quella scodella di metallo, quei biscotti secchi confezionati in cubi di stagnola, quel succo di frutta da stappare con il manico della forchetta.
E poi fu l’adunata, l’ultima. I congedanti erano vestiti in borghese, con il cappello alpino in testa, sull’attenti mentre suonava l’inno, mentre la bandiera era issata sul pennone.
«Rompete le righe!», l’ultimo comando. Quindi andarono in camerata a prendere materasso e lenzuola per riconsegnarle in magazzino. «È finita!»
Il maggiore Pavone tenne un discorsetto sul futuro, su quello che li aspettava fuori di lì, su quello che ci si aspettava da loro, e consigliò di iscriversi all’Associazione Nazionale Alpini.
Furono liberi di andare con il tanto desiderato foglio arrotolato in mano. Corsero in camerata a prendere le borse…
Era stato trasportato sulle jeep in dotazione all'ufficio: alla Posta, a Bolzano, perfino a Trento; il maresciallo Illica prima e il maresciallo Peruzzello poi, si arrabbiavano con il reparto che mandava la vettura al Presidio: talora avevano inviato una Fiat AR57, risalente, come diceva la sigla, al 1957, invece della normale AR76. Qualche volta avevano persino assegnato all'ufficio un furgoncino 900 - «Ci hanno preso per degli ambulanti» aveva commentato il maresciallo Peruzzello. Si infuriò quando vide entrare nel cortile un furgone Fiat 238: «La prossima volta ci mandano un camion!» gridò e poi si precipitò a lanciare improperi nel telefono.
Andrea ricordò le fredde mattine sui camion, soltanto due fortunatamente, per recarsi al poligono di tiro di Salorno: tutti seduti dietro, nel cassone telonato e con il fucile tra i piedi. Ricordò il camion che lo aveva trasportato al campo estivo di Ponte di Legno: era capomacchina, seduto al fianco dell'autista nella cabina di guida che avevano dovuto riscaldare per il freddo fuori stagione che regnava al Passo delle Palade. E ricordò con una punta d'orgoglio la volta che salì al Passo del Tonale con l'Alfa 33 blu del generale e per la strada più di un capomacchina lo salutò, forse ingannato dal sole.
Uscì e si tolse il cappello con la penna nera, avanzò verso la vita e si rese conto solo allora di aver ritrovato la libertà, ne gustò subito il sapore salendo per la stradina sterrata che conduceva alla strada principale.
Si chiese che cosa gli restasse impresso nel cuore di tutto quell'anno trascorso, oltre al cappello da alpino che custodiva gelosamente. Guardò il fiume scintillante sotto il sole del mattino: non l'aveva mai visto così neanche quando lo attraversava al ponte di Santo Spirito tornando dalla Posta; lo vedeva con gli occhi della libertà e sembrava ancora più bello, con le nuvole cerulee che vi si frantumavano. Trovò la risposta al quesito che si era posto: “Mi resta l'esperienza di aver conosciuto amici veri - fratelli - nel forzato convivere di un anno”.