sabato 16 marzo 2019

Da un poggio


Qui, dall'alto, da questo poggio che è l'ultimo avamposto prima della pianura, si domina uno spicchio di mondo, come se una mappa a tre dimensioni fosse distesa davanti ai miei piedi. Nella calura che vela la visione d'una foschia leggera, addensata sopra le città, disegno gli scenari apocalittici che i guerrieri del riscaldamento globale continuano a propinarci dai media, ora fronteggiati dai teorici della nuova glaciazione: e dunque sullo sfondo ecco il deserto di Milano, dune di sabbia dove corrono i dromedari e i beduini si rinfrancano tra le palme delle oasi; dove sorge Piacenza, scintillerà il mare...

Ma su questa collina verdeggiante, una mammella ubertosa sorta dal corpo fertile della Brianza, fiorisce ancora il sambuco e i gatti sonnecchiano al sole tra le antiche mura. La brezza soffia lungo le vie, porta l'odore muschioso degli anditi, il fresco umido delle cantine. Gazze volano tra le fronde, si inseguono con le code bianche ridendo sguaiate come rane. È in posti così che amo fermarmi a riflettere, a farmi i conti in tasca, come adesso, seduto davanti al panorama in questa larga piazza pavimentata a ciottoli.

Lo so che è umano amare. E che ancora più umano è sbagliare. Umano è anche ricordare. Così io so che ho idealizzato la sua figura, usandola come un salvagente per rimanere a galla nel naufragio dei giorni. L'ho usata come un relitto cui restare aggrappato con tutte le mie forze, come una zattera di fortuna su cui andare alla deriva. Mi sentivo come chi dovesse saltare un ostacolo o chi in quei film d'azione americani passa da un tetto all'altro nella fuga o nell'inseguimento. Prendevo la rincorsa ma risultava sempre troppo corta e rimanevo a penzolare nel vuoto. Per salvarmi ho dovuto tagliare la corda con lei, perderla e tenerla con me sotto forma di ricordo.

Fu un errore, lo ammetto soprattutto con me stesso. Lo so, adesso che da questa collina spazio lontano con lo sguardo e osservo non soltanto i fiumi che tagliano la valle e le città avvolte in una cappa di smog, le autostrade che si snodano, i campanili... Vedo anche il mio passato, i giorni perduti e vigliaccamente conclusi, le fughe davanti alla realtà, le illusioni spacciate per sogni. Mi rattristo, ma non dovrei: rimpiangere è una medaglia al valore che non si è meritata.

Mi alzo, riprendo il sentiero che attraversando filari di viti riporta giù, alle strade trafficate, ai grandi ipermercati, alle zone industriali, alla vita...

2010


FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

sabato 9 marzo 2019

La coperta di Linus


È la tua voce che sento, la tua bella voce appena un po’ nasale. Mi invita da lontano e io non riesco a distinguere se tale distanza sia spaziale o temporale, se tu mi chiami dalle isole Andamane o da un giorno perduto nell’estate di qualche anno fa, se tu mi stia aspettando o se invece mi aspettavi e l’occasione è oramai perduta. Sono Odisseo ora e la tua voce è quella melodiosa di una Sirena: io legato all’albero maestro, i miei compagni alacri ai remi, al timone, alle corde, con la cera versata nelle orecchie per non poterti udire, per non impazzire d’amore come invece faccio io. E tu chiami e chiami e canti e mi inviti e sussurri il mio nome...

Mi sveglio. Comprendo che questi sogni sono una specie di coperta di Linus per la mia timida insicurezza. Una coperta troppo corta però, che mi riscalda solo in minima parte, che mi lascia indifeso, allo scoperto di sguardi. Poteva andarmi peggio, potevo essere Charlie Brown... Sono le quattro, l’alba è ancora lontana. Nel buio un vago chiarore disegna ombre e riflessi, la luna si diverte a giocare con lo specchio, quello specchio vuoto d’amore che un tempo accoglieva le voluttuose cascate dei tuoi capelli, i nostri visi vicini, i baci, le scintille della passione. Ora non mi restano che questi sogni ricorrenti, non mi resta che il tuo ricordo: l’altro giorno si è presentato improvviso dalle parti di Via Vitruvio. Voltavi le spalle ai marmi bianchi della Stazione Centrale, alle tende rosse dell’Hotel Gallia: eri bellissima ed elegante, vestita come quel giorno che partimmo per Venezia all’inseguimento dei pittori manieristi nei musei della città lagunare. Il cielo era di piombo fuso, identico. Ma dovevo lavorare, la mia tracolla nera mi batteva sull’anca, mi ricordava pressante che dovevo andare in ufficio, che c’erano pratiche e atti ad attendermi sulla scrivania. Ho rivolto anche un gesto di saluto, fugace, vergognandomi un po’. Ma il tuo ricordo è rimasto con me tutta la mattina, mi ha scortato sui documenti, mi distraeva, mi faceva commettere errori.

E dunque non sei più che ricordo. Il sogno in effetti altro non è che una elaborazione di ricordi e desideri. Sei come quei fiori che si conservano nelle scatole e lentamente seccano per poi sfarinare lasciando una minuta polvere. Il velluto dei petali diventa carta e poi cenere. Non ho che scaglie di te, frammenti che ricostruiscono com’eri. Ma l’amore non vive in terra arida e sterile, vuole una terra buona perché il suo fiore possa sbocciare e fiorire. Forse è seme, di certo non è seccume. Mi volto sul fianco, magari riesco a riprendere sonno. Magari riesco anche a sognarti e se le tue labbra sfioreranno le mie, mi accontenterò di quella languida illusione.

2011


IMMAGINE © SCHULZ/PEANUTS

sabato 2 marzo 2019

Italia-Argentina


Stiamo tornando dalla spiaggia un po' in anticipo: di solito torniamo dopo le sei e ora sono le cinque appena passate. È che tra poco comincia Italia-Argentina per i campionati del mondo di calcio e faremo un tifo sfrenato davanti al televisore.

Non è che l'Italia giochi poi così bene: i giocatori sono in silenzio stampa e hanno eletto portavoce Dino Zoff, che forse è l'uomo meno loquace del mondo, e hanno ottenuto solo tre pareggi nella fase eliminatoria di Vigo e La Coruña, con Polonia, Perù e Camerun; così la nostra nazionale è finita nel girone difficile, direi quasi impossibile, con Argentina e Brasile. Ma tant'è, speriamo sempre nel genio italico.

Con me ci sono Anna e Maria Sole e stiamo ascoltando la radio: ora cantano i Secret Service, "A Flash in the Night". Io ho la mia sacca a righe bianche e azzurre con il telo da spiaggia, la crema abbronzante, "Eutanasia di un amore" di Giorgio Saviane e "La Settimana Enigmistica". Anna ha la solita borsa di paglia con tutto l'occorrente per la spiaggia e il barattolo di crema Nivea, oltre a "La ragazza di Bube" di Cassola e a un bikini azzurro di ricambio. Maria Sole porta il pallone da pallavolo e le bocce.

Ora alla radio cantano i Quarterflash, "Harden my Heart" e siamo quasi arrivati all'hotel. Altra gente torna in fretta dalla spiaggia per l'incontro di calcio. E già alcune persone sono sedute nella saletta del televisore. Stanno per essere eseguiti gli inni. Gentile ha la faccia di un mastino, dovrà marcare Maradona, che molti definiscono il nuovo astro del calcio mondiale. Forse ce la faremo. Mi siedo tra Anna e Maria Sole sulle poltroncine rivestite di tela scozzese a base vermiglia in seconda fila. Un brivido mi percorre il corpo mentre la banda spagnola suona "Fratelli d'Italia". Finalmente la partita comincia. Sembriamo tonici, nonostante l'importanza dell'incontro. Si levano urla e imprecazioni quando Paolo Rossi si mangia un gol già fatto e gli viene quasi da piangere.

Poi segna Tardelli e Anna mi abbraccia, nell'euforia generale non riusciamo a vedere i replay: una staffilata dal limite che ha fulminato il portiere argentino. Restiamo lì a sperare che le iniziative dei biancocelesti si esauriscano, ma quando Cabrini manda in rete la palla respinta dal portiere su tiro di Rossi sembra fatta davvero. Anche perché gli argentini perdono la testa e Gallego si fa espellere. Peccato che non riusciamo ad approfittarne e che Bruno Conti fallisca il 3-0. Abbiamo visto tutti la palla in rete mentre ancora era attaccata al suo piede. Invece no...

Manca poco alla fine quando l'arbitro romeno Rainea assegna una punizione dal limite inesistente a favore dell'Argentina. "Attenti a Passarella, è un ottimo tiratore" dice qualcuno. È proprio Daniel Passarella che si incarica del tiro. Bum! Fa secco Zoff e temiamo la beffa. Resistiamo cinque minuti insieme agli "azzurri" e tiriamo un sospiro di sollievo al fischio finale. Sono quasi le sette, aspettiamo di andare a lavarci commentando le azioni decisive.

Siamo seduti ai tavolini del bar, Maria Sole gioca con le frange della tovaglietta plastificata a scacchi bianchi e rossi, beviamo Coca-Cola ghiacciata e guardiamo nella strada la gente che torna dalla spiaggia. A loro della partita non interessava poi molto. E infatti sono quasi tutti tedeschi e austriaci. "Stasera che si fa?" chiede Anna con la sua bella voce un po' nasale. "Decidi tu, come sempre: sei così brava a inventare qualcosa" le dice Maria Sole, masticando la fetta di limone che era nella Coca-Cola. "Ci penserò" replica Anna, "Potremmo andare al Luna Park, se vi va bene." Io e Maria Sole annuiamo senza parlare e allora lei rompe gli indugi: "Vado a lavarmi. Ciao. Ci vediamo più tardi".

Salgo nella mia camera e mi faccio la doccia. Resto a lungo indeciso sulla maglietta da mettere con i blue-jeans Levi's. Poi scelgo una polo rossa. Rossa come l'amore, dico tra me e me pensando ad Anna.


FOTOGRAFIA © LIUKAJ0823