sabato 28 giugno 2014

Merano

 

Merano è un anno della mia vita, quello del servizio militare passato in tre caserme: la “Rossi” del Centro Addestramento Reclute, la “Leone Bosin” del Reparto Comando e Trasmissioni Orobica e la “Cesare Battisti” del Battaglione Logistico dove venni aggregato e dove passai i restanti nove mesi. Ogni tanto apro la mappa e parto a inseguire ricordi.
 
Merano è la città “imposta” che ho imparato ad amare e ad apprezzare. È la città dei Portici e delle Terme, dell’antica chiesa di Santo Spirito e del Duomo dal tipico aspetto tirolese. È la città delle famose passeggiate lungopassirio che costeggiano il fiume e si snodano sulle alture che la circondano: la più celebre è quella che attraversa la città e che ospita il  Mercatino dell’Avvento. È per questo motivo che ci sono tornato l’ultima volta, cinque anni fa. C’ero già tornato un paio di volte. E ogni volta ho scoperto che le caserme, con la sospensione della leva, sono in un degrado totale, se non addirittura demolite, come la “Leone Bosin”. Il viaggio dunque non può che avvenire nel ricordo, nella memoria per certi luoghi che hanno segnato la mia vita, che mi hanno consegnato amicizie che durano tuttora.
 
Chi ci passa, chi ci va in villeggiatura, trova ottime offerte, svaghi, concerti, passeggiate; può salire in seggiovia a Tirolo o raggiungere i boschi di Avelengo-Merano 2000, divertirsi. A me invece riporta fantasmi e apparizioni, ricordi che si manifestano all’improvviso in una via o in un angolo caratteristico. Come all’ippodromo: è lì che, in un soffice turbine di semi di pioppi, il 21 maggio del 1988 prestai giuramento…

 

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sabato 21 giugno 2014

L’estate del 1982

 

Dal fondo dimenticato di un cassetto saltò fuori una fotografia: Anna! Quanto tempo era passato, quanti anni avevano mutato le vite e la storia... Paolo ricordò subito quando aveva scattato la fotografia: c'era un minaccioso temporale in arrivo, segnalato da nuvole di carbone e il mare era agitato e limaccioso. Trovarono rifugio in un bar poco prima che la tempesta si scatenasse. Ricordava che, dopo che il temporale si fu placato, erano andati al pontile e là, in mezzo al mare, con il vento che scompigliava i capelli, aveva baciato Anna: la sua bocca sapeva di rosa, i suoi occhi erano pieni d'amore.

Paolo riandò subito col pensiero al loro addio, quella stessa estate: Anna cambiava città e lui non poteva seguirla, così legato ai suoi luoghi, agli amici, agli studi, c'erano troppe sensazioni, troppe emozioni che lo trattenevano lì. Era stata una bella estate quella del 1982, con la follia che aveva preso l'Italia per le imprese della Nazionale di calcio trionfatrice del Mondiale spagnolo. Paolo riandò con il pensiero alla notte dell'11 luglio, subito dopo la consegna della Coppa del Mondo nelle mani di Zoff, quelle mani grandi che avevano contribuito alla vittoria che sollevano al cielo il trofeo. E con Anna era sceso in strada, avevano un grosso tricolore e le lacrime agli occhi per la gioia, cantavano a squarciagola "Fratelli d'Italia" e sfottevano i tedeschi che affollavano quella località balneare.

Anna, poco incline alla passione per il calcio, quella volta invece cominciò a scaldarsi durante Italia-Argentina e si scalmanò per i gol di Rossi al Brasile. E al termine della partita si erano abbracciati, la voce roca per il tanto gridare e l'intuizione che ormai era fatta: nessuno avrebbe più potuto fermare gli "azzurri". Paolo ricordava poi le canzoni urlate sulla spiaggia, la sera con gli amici: "Es un sentimiento nuevo che mi tiene alta la vita, la passione nella gola, l’eros che si fa parola…" e le risate ritornando per Viale a Mare ormai de­serto. Ricordava le gite in bicicletta, le serate al cinema all'aperto con le zanzare e Anna che si stringeva a lui.

Paolo sentì la nostalgia prendergli il cuore: non riusciva a staccare gli oc­chi da quella fotografia. E con i ricordi gli sorgevano domande sulla sorte di Anna: si chiese che lavoro facesse, se fosse sposata, magari con dei bambini. E soprattutto si chiese se Anna si ricordasse ancora di lui e di quell'estate.

 

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sabato 14 giugno 2014

Lettera non spedita (X)


Cara P.,

quante cose non ti ho saputo dire, quante altre non ti ho voluto dire: l’estate correva con i suoi giorni di sole come cavalli sulla riva del mare e io invece credevo di avere tanto tempo per esprimerti i miei sentimenti, per raccontarti il futuro come lo vedevo. Credevo di avere davanti dei secoli allora e invece erano solo giorni, ore, minuti, e tutto quello che dovevo fare con te non l’ho fatto, per timore di ferire te o me, oppure per mancanza di coraggio, se vuoi metterla così.

Il risultato di ciò è che infine sono precipitato nel rimpianto di te, quando il ricordo di un tempo ormai perduto avvelena una gioventù che svapora, che si allontana sorda ai richiami di chi grida per chiamarla, certo che infine si volterà. Non si è voltata, non si volta mai: è una donna perduta per sempre, come te.

E tutte le cose che dovevo dirti allora non te le dirò adesso: il tempo che talora è balsamo per certe ferite talvolta si rivela invece veleno – farmaco è parola greca che consente entrambe le accezioni – così non mi umilierò, non mendicherò pietà, non mi prostrerò davanti a una dea che forse per misericordia o convenzione fingerebbe di udire le mie parole sorridendo senza dire. Semplicemente metterò questa lettera nel cassetto, insieme alle altre che non ti ho mai spedito.


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FOTOGRAFIA © PETAR MILOSEVIC

sabato 7 giugno 2014

Sognando di viaggiare nel tempo

 

Nello studio c'è profumo di lavanda - ne ho raccolto i fiori in un sacchettino, dicono che sia rilassante - e suona il Concerto n. 4 in Re Maggiore dai "Dodici concerti grossi" di Arcangelo Corelli. Dovrei pensare ad alcune lettere da scrivere, ma mi attardo a sbrigare la posta, a curiosare tra i contatti in rete...

E finisce che mi perdo in divagazioni. Se si potesse viaggiare nel tempo, è una cosa che ho sempre pensato, non andrei a osservare i grandi eventi storici ma a vivere le atmosfere, le piccole cose di ogni giorno - si chiama antropologia sociale storica. Camminare per i propilei del Liceo di Socrate, osservando i mercanti nel porto del Pireo; curiosare in un convento medievale, perdendomi tra i vasi dello speziale; passeggiare per le strade di Parigi ai tempi di Madame de Stael; imbacuccarmi sul Lungoneva nella Pietroburgo di Dostoevskij...

E la Vecchia Milano, così come non l'ho potuta vedere, quella degli anni Trenta, quella del boom economico degli anni Sessanta... Quella che insomma cerco di ritrovare quando cammino per le sue vie e mi lascio sorprendere da un giardino che si apre dietro un cancello lavorato in ferro battuto o da un'insegna dal sapore antico. Ci sarà ancora la "Rammendatrice" all'inizio di Corso Garibaldi? Anni fa era in vetrina con le sue uova di legno, aghi e filo, la lente per vederci meglio... Mah, l'avrà soppiantata qualche negozio di ricariche telefoniche. Il progresso!

 

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