sabato 27 luglio 2013

Nel tramonto

 

La luce del tramonto cola liquida, riversa i suoi colori sulla sera, ne fa acquerello. Ma adesso è tempo di separarci, è ora che tu mi lasci andare via senza aggiungere parole. Perché io non ti ferisca, perché tu non mi ferisca. Perché non ci tradisca la dolcezza di questo crepuscolo, perché non ci entri nel sangue accendendo nuovi sogni e nuovi desideri, attizzando l’antica fiamma ormai spenta.

Perché potrei anche umiliarmi e chiederti di perdonarmi, perché potrei fare la pazzia di svilirmi e restare qui tra le tue braccia, arrendermi a questo amore che non vuoi e non voglio. Per non cadere nel deliquio di questa atmosfera mi aggrappo alla realtà, osservo le trame delle nuvole, ce ne sono d’oro e di rame, altre sembrano piombo fuso, il vermiglio del sole che precipita le tinge sui bordi di una luce di fiamma. È una sera che stilla romanticismo ed è proprio quello di cui non abbiamo bisogno. Ci sarebbe servita una grigia giornata di pioggia, malinconica e triste per dirci addio, per rassegnarsi a queste strade che divergono – perché la ragione ci dice che devono divergere ma il cuore vorrebbe continuare il suo tragitto a dispetto delle paure.

Ti avvicini. Se adesso mi bacerai, so che non saprò resistere e non andrò più via. Con una mano mi sfiori la tempia. È un gesto d’addio oramai, lo so. Forse è proprio quello che mi serviva, che ci serviva, per prendere il largo e abbandonare questo porto. Accarezzo la mano che mi ha sfiorato la testa e mi volto per non guardare quegli occhi che brillano di pianto. Infilo la porta: un’altra vita comincia. In strada collane di lampioni, è già buio verso est. Dall’altra parte c’è solo una brace rossastra che arde sulla pianura.

 

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DAVY BROWN, “SUNSET OVER ARRAN”

sabato 13 luglio 2013

La loquace

 

Parlava di quella sua voglia d’antico, seguendo forse con Gozzano il rimpianto e l’abbandono. Deprecava i mercatini con antichità troppo recenti, falsi compresi, e gli anacronismi di certe monete che del resto basta guardare solamente per capire: bordi lisci, lettere troppo precise, per non parlare del metallo. Gli antichi erano invece artigianali: usavano martelli e pinze e forza di braccia, oggi invece la quasi perfezione delle macchine crea la modernità.

Diceva con un po’ d’enfasi di un suo viaggio in Egitto, disturbata dai clic delle macchine fotografiche: avrebbe voluto vivere nel Settecento senza tanto progresso, in clima preindustriale, magari nella Francia dei lumi o nella Germania dei filosofi. In Italia... in Italia no. E invece ecco i computer e le fibre ottiche, i laser e gli elettrodomestici. Semplificano la vita complicandotela ancora di più. E noi stolti a crederci evoluti quando ne usciamo volgari e imbecilli, e cafoni irrispettosi senza più né morale né senso estetico o etico.

Sul divano di velluto allungò le gambe e appoggiò il tallone evidenziato dalla lunetta delle calze di nylon sul bracciolo. Chissà perché in quel lasso di tempo in cui ella tacque mi venne da pensare a un barbuto profeta che con la tunica vaghi per la città gridando “Egli è qui!” con il portamento di uno stilita.

Come supplicando un ascolto o perlomeno un dormiveglia quasi attento, riprese a parlare di qualcosa che c’entrava con Narciso: una formella o un dipinto, credo. E poi dell’idra. No, non del mostro di Lerna che Eracle combatté: l’idra, quell’insetto che galleggia sull’acqua, pare quasi un idrovolante.

«Piove!» esclamò improvvisa, poi un po’ più sommessa disse «Cade la pioggia» e io distratto solo allora capii e guardai fuori il cielo da chiaro fattosi scuro e sentii l’acqua scrosciare, e nel naso l’odore dell’umido che saliva dalla strada, come se insieme a me si fossero all’unisono ridestati i sensi, più vivi e più allenati.

Guardai che cosa facesse lei: distesa sul divano, taceva, Si era addormentata.

4 ottobre 1994

 

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JACK VETTRIANO, “ALONG CAME A SPIDER”

sabato 6 luglio 2013

Per un bacio

 

Un bacio sfuggì alle nostre bocche, amica mia, un poco rude e ansante ma fragoroso come un tuono, come un lampo di magnesio e chiamalo colpo di fulmine se ti aggrada. Ce ne rendemmo conto quando confusi parlammo di noi e con lo sguardo perso restammo immobili come due statue.

Ma tu pensa che balenio, che corda tesa all’arco di Cupido, che bufera di sentimenti schiumò il mare delle nostre anime per un bacio, per un bacio solo, contatto di due labbra, di due bocche, ché poi non divagammo. Non andammo – che so? – a porre io le mani a lisciare i tuoi capelli o a massaggiare il tuo bel piede nudo, a spingere tu la mia mano a carezzarti un seno per sentirne il calore.

Pensa che collisione, che affondamento di pensieri, quasi un Titanic, per un bacio, un misero isolato bacio.

 

7 ottobre 1994

 

Sealed with a Kiss

FLAMENCO DANCER, “SEALED WITH A KISS”