sabato 28 febbraio 2015

Notte di stelle

 

L'amore spalanca l'universo. Forse è vero che è l'unico modo per liberarci da noi stessi, come pensava Hebbel. Quella notte di luglio con Paola è dipinta a tinte forti nella mia memoria perché avvertii quella fusione di anime, quell'essere piccoli di fronte all'immensità ma consapevoli di non essere soli.

Lei mi guardava dolce e sorridente e io, stupito, la guardavo fantasticando come facevo delle navi e dei pirati da bambino. Sfioravo i suoi lunghi capelli castani e la luce della luna sembrava frangersi su di essi, sulle mie mani, nei nostri occhi. Eravamo immersi anche noi in quel mare liquido che disegnava onde sulle tende, che bagnava i fiori nei vasi del terrazzo.

Com’era bella lei, com’era mia! Nel bacio il suo seno premeva contro me, contro il mio petto che la magia del momento, di quel magico incontro, riempiva di gioia e felicità. Le sue labbra sapevano di vita: erano l’universo, tutto il mondo e le stelle. Ed era là, in quel preciso momento, che io nascevo, su quella panchina di legno consunto.

L’altro giorno leggevo i taccuini di Anton Cechov e mi sono segnato una frase: "Quello che noi proviamo quando siamo innamorati, forse è il nostro stato normale. L'innamoramento mostra all'uomo come egli dovrebbe essere sempre". Ho riconosciuto lo stato di quella notte di stelle...

 

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FOTOGRAFIA © TUMBLR

sabato 21 febbraio 2015

La lunga infanzia

 

Ogni cosa che ci è accaduta è una ricchezza inesauribile: ogni ritorno a lei l'accresce e l'allarga, la dota di rapporti e l'approfondisce. L'infanzia non è soltanto l'infanzia vissuta, ma l'idea che ce ne facemmo nella giovinezza, nella maturità, ecc. Per questo appare l'epoca più importante: perché è la più arricchita dai ripensamenti successivi.
CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, 10 dicembre 1938

L'infanzia forse ci permane tanto nel ricordo perché è il periodo delle scoperte, ha ragione Pavese: è un tempo che si trasforma in una lunga avventura, un'illusione continua paragonabile ad un gioco senza fine.

Per questo, ricordo precisamente il giardino della mia infanzia: potrei disegnare con facilità la disposizione delle piante, il noce, il tiglio, il corbezzolo, la grande magnolia dai fiori bianchi che sembravano fatti di cera, l'araucaria spinosa... Solo quella è rimasta, ma cresciuta in altezza, più che raddoppiata. Potrei indicare i luoghi preferiti, il posto dove con Simonetta mi rintanavo a giocare, i gradini dove sedevo con Stefania a leggere Topolino, la porta fittizia che con Alessandro avevamo scelto come campo di pallone... Potrei entrarvi, chiudere gli occhi e sentire le voci di quei bambini...

Da piccoli si dice "quando sarò grande", si fanno congetture, si favoleggia su quell'età adulta che tanto si agogna senza renderci conto che la vera età dell'oro è quella che stiamo vivendo e che rimpiangeremo per sempre come un Paradiso perduto.

2008

 

A

IMMAGINE © ROZART

sabato 14 febbraio 2015

Il Postino

 

Il pomeriggio, tornato da scuola, dopo aver pranzato, ascoltavo “Il Postino” su Radio Beta 90.80. Mi ero innamorato della voce suadente della conduttrice, me la immaginavo bionda, con i capelli mossi sulle spalle e un sorriso dolce. Era una trasmissione di dediche e richieste e, vista l’ora, erano soprattutto adolescenti che inviavano le loro lettere perché venissero lette e la ragazza o il ragazzo di turno godesse di quell’ora di apoteosi amorosa. Sognavo anch’io di scrivere e dedicare le mie canzoni preferite alla ragazza per cui spasimavo ma alla quale non riuscivo a dichiararmi come Charlie Brown con la ragazzina dai capelli rossi. Le mie “valentine” rimanevano chiuse a doppia mandata nel cassetto del mio cuore, alimentavano sogni che facevo sulle canzoni scelte da altri. 

Andava a finire che le contingenze - in quel caso si chiamavano compiti per l’indomani - mi chiamavano pressanti e lasciavo scorrere in sottofondo la radio mentre traducevo “Veniamus ad somnia. Plena exemplorum est historia” oppure risolvevo x=ay²+by+c e y=ax²+bx+c o ancora mi trovavo alle prese con “Μίνως τοῖς Κρησί νομόυς γεγραφέναι λέγεται”.

Intanto si susseguivano i brani e fluivano via come acqua sul pomeriggio. “Ma che disastro, ho scelto te, una donna per amico”, “Video killed the radio star, in my mind and in my car, we can't rewind we've gone too far”, “Agnese mi parlava nella sabbia infuocata ed io non so perché, non l’ho dimenticata”. Ogni tanto mi sorprendevo perso dietro un verso di canzone, associavo a quelle donne, a quelle situazioni il viso di lei e i discorsi che avevamo fatto tante volte. Divagavo, socchiudevo gli occhi e veniva a formarsi una specie di videoclip personale - Mtv era ancora di là da venire, la fantasia dell’immaginazione era totalmente al potere. Poi, come una bolla di sapone tutto si dissolveva e la bella voce diceva: «“Il Postino” torna domani alle 15».

Si fissi un punto P ≡ (x,y)...

 

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sabato 7 febbraio 2015

Piccola stazione imbiancata dalla neve

 

La nevicata caduta abbondante nella notte dava alla stazioncina un aspetto inusuale. Nel sole del mezzogiorno la neve si stava sciogliendo sui tetti degli edifici che la componevano: il corpo centrale con la sala d’aspetto, la biglietteria, l’ufficio e l’abitazione del capostazione, i due magazzini staccati, uno dei quali conteneva i bagni.

La neve si scioglieva anche suo tetto convessi dei vagoni in disuso fermi da lunghi anni sul binario morto e cadeva a terra con il rumore di una fontanella, di una piccola cascata. Passi pesanti avevano lasciato tracce nel manto bianco attraversando i binari: le impronte si erano allargate con il progressivo sciogliersi della neve.

La campanella annunciò l’arrivo del treno. Una nuvola bianca passò e coprì il sole, subito rinfrescò, sembrava soffiare un vento leggero che prima non c’era. Un minuto dopo la nuvola si spostò e il sole ritornò a splendere. Lontano, velato appena da un’evanescente foschia, il semaforo rosso e l’arco di una galleria: un piccolo ponte come talora se ne vedono nei presepi, realizzati in legno. Anche la stazioncina sarebbe potuta stare in un presepio, con quella sua architettura non proprio tradizionale.

Il treno arrivò con un rumore soffuso, come se fosse attutito dalla neve, il che non era, e, aspettando l'arrivo della coincidenza, faceva le fusa come un gatto nel sole. L’altro treno finalmente si annunciò da lontano: sbucò dal piccolo ponte che sarebbe stato bene in un presepio, fischiò per avvertire i passeggeri arrivati con il primo treno che stavano attraversando i binari e con uno stridio di freni si arrestò nella piccola stazione imbiancata dalla neve.

20 gennaio 1995

 

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FOTOGRAFIA © BILL REVILL