sabato 29 agosto 2009

Ricevimento di nozze

per Alessandro e Donata

Oltre i fiori colorati del giardino e le mattonelle del parcheggio si spalancano i tavoli dei buffet con le caraffe colorate degli aperitivi alla frutta e i flutes dorati pieni di prosecco. Un'orgia di tacchi dodici e di velate trasparenze, di bizzarre stravaganze e di pochettes si mischia ad un fiorire di cravatte regimental su abiti scuri, a fazzoletti che spuntano dai taschini.

Lo sposo oggi potrebbe andare ad Ascot con quel mezzo frac ed il panciotto a righe: certo preferirebbe essere là, abbandonarsi ad un bicchiere di whisky e guardare i cavalli veloci correre sulle piste fangose invece di posare per le fotografie di rito, di essere continuamente chiamato fuori per essere ritratto con la sposa e i parenti tra le fontane e le panchine.

Le donne fumano nervose e guardando lo zampillo che scroscia nel giardino verde di maggio hanno voglia di fare pipì, si affollano nel bagno a due a due con le loro mises e le loro complicità. La sposa riesce finalmente a togliersi per qualche minuto le scarpe che le stringono i piedi: seduta ha voglia di essere lontano da qui, a Mykonos, dove l'attende la luna di miele, sdraiarsi pigra al sole di maggio mentre il mare le canta la sua nenia.

Gli uomini parlano al tavolo, dietro i bicchieri di Pinot e Bonarda. Raccontano di gite in montagna e di politica, di beghe da risolvere, di liti da appianare, di lavoro. Le giacche pendono dagli schienali, le maniche delle camicie sono ormai rimboccate, i nodi delle cravatte allentati.

Come una diva di Hollywood, finalmente entra la torta, acclamata da salve di flash e da battimani. Gli sposi esausti tagliano e sorridono, bevono incrociando i bicchieri di spumante come da tradizione. Una bambina legge la poesia augurale e immancabile parte il grido "Bacio! Bacio!". Gli sposi vorrebbero essere a mille miglia da qui, chiudere gli occhi e sciogliere la tensione della giornata.

Dietro le vetrate del ristorante scende ormai la sera, arrossa il cielo sopra le colline. Confetti e bomboniere si spampanano come rose sulle tovaglie chiare. Qualche invitato prende la giacca, il cartoncino con il menù, la scatoletta di cartone e se ne va. I tavoli si scombinano come tessere di domino, i commensali si riallineano, si fermano a parlare con altra gente. Gli sposi sono ormai sulla porta, salutano.

È giunta l'ora di andare: si augura agli sposi serenità e felicità, si bacia la sposa sulle guance, si stringe la mano allo sposo. Il ricevimento è finito, ma ancora ci si trattiene nel parcheggio a salutare persone che non si vedranno forse più. Si prova a dilatare il più possibile quella sensazione di festa. Ma è ora di andare, si sale in macchina e via...


Fotografia © BBC

sabato 1 agosto 2009

Lettera non spedita (I)


Carissima P.,
resterò qui da solo io che non so più neppure dire cos’ho; non ha parole il dolore che sento nel cuore. Tu sei andata via, tu forse non sei più mia. Io ora cosa farò? Cosa dirò? Passerà o non ti dimenticherò? Io, i miei problemi, il mio rimpianto perché forse è finito un amore. Guardo fuori: come piove sui fiori e sulle foglie nuove, ma che primavera può mai essere senza di te?

Il cielo mi somiglia: è grigio come me che non so se ti ho perduta o se mai ti ho avuta. So solo che sei stata un fragile amore, finito così, senza parole. Ricordo che una volta mi dicesti “stavolta spero che sia amore vero” e ti credevo sincera. Invece ora chissà dove vai, chissà se mai ritornerai. Io proseguirò tra la gente, per quanto la strada sia difficile e tortuosa. Io continuerò senza te, guardandomi attorno tra persone allegre o uguali a me, perché tutti hanno un dolore nel cuore.

E cercherò nell’aria il tuo riflesso, come facevo quand’eri con me e chiudevo gli occhi piano mentre tu ti addormentavi.


© Atelier