sabato 3 febbraio 2018

Un giorno al poligono

Come si chiamava il paesino? Salorno... l'ultimo comune della provincia di Bolzano, dove c'era il poligono. La prima volta che ci andai ero al CAR, quindi era maggio. Le nostre mimetiche erano ancora nuove, gli anfibi incominciavano ad ammorbidirsi e a prendere la forma del piede. Il mattino, dopo l'adunata, i caporali ci fecero salire sui cassoni dei camion con i fucili, la baionetta, l'elmetto e la maschera antigas. Fu un gioco, un diversivo dalle lunghe giornate di addestramento in caserma, uscire e attraversare la città e i paesi, vedere la gente che viveva la vita vera: le ragazze che andavano a scuola, le casalinghe con la borsa della spesa, le donne che uscivano dai panifici, i contadini con il grembiule blu sui trattori. Allora non c'era ancora la superstrada Merano - Bolzano, nota come MeBo: passammo per Lana, Postal, Termeno, Terlano, Gargazzone, Vilpiano, Nalles... Invidiavamo la libertà di quella gente che si poteva spostare a suo piacimento, comperare lo speck, guidare la macchina, camminare per strada. Noi invece, seduti su quelle panchine fredde, incollati al legno con il fucile tra le mani, non potevamo far altro che guardare oltre il telone ripiegato.

E giungemmo a Salorno: scesi dai camion, squadra per squadra ricomponemmo il plotone. Il poligono era un vasto tratto di campagna destinato alle esercitazioni: sullo sfondo c'era una collina calva e rocciosa che sembrava sforacchiata da anni e anni di tiri di soldati. I caporali ci divisero in gruppi ed aspettammo che chi sparava prima di noi raggiungesse le postazioni e tirasse. Era una trafila particolare: altri soldati, che venivano chiamati "zappatori" erano nella zona delle sagome e con la bandierina segnalavano quando il campo era libero.

Venne anche il nostro turno: sparammo con il Garand, che era il fucile che ci eravamo portati, poi ci venne consegnato il modello Fal e sparammo anche con quello. Nell'aria si sentiva l'odore della polvere. Ci diedero il risultato del nostro tiro al bersaglio: pensavo di avere fatto peggio - c'era chi aveva mirato alle sagome del vicino! - invece avevo colpito sette volte su dieci. Era una bella giornata di primavera, con il sole e il polline volava nell'aria. Qualcuno raccolse i bossoli e li intascò come ricordo, anche se ci era stato espressamente vietato.
Ma non era finita, ancora: ci toccò esercitarci al lancio delle bombe a mano, le SRCM. Erano naturalmente esemplari da esercitazione. Un ufficiale ci mostrò come fare: correre, togliere la linguetta, portare la mano con la bomba dietro il corpo e scagliarla con quanta più forza possibile in avanti, quindi gettarsi a terra. Era facile e tutti eseguimmo il nostro compito. Il capitano raccontò qualche aneddoto di ragazzi che avevano lanciato la linguetta invece della bomba o che avevano tirato l'ordigno troppo vicino. Tenni le linguette delle tre SRCM che lanciai e le infilai nella tasca della mimetica.

Toccò poi alla maschera antigas. Ci mostrarono come inserire il filtro, come allacciare le cinghie dietro la testa. Eseguimmo: bisognava tenere indossata la maschera per trenta secondi. Era tutto così irreale: eravamo in un campo mentre l'aria si riempiva del polline dei pioppi, e lontano si sentivano le auto passare per la strada, ogni tanto riecheggiavano i colpi di fucile dal poligono.

Finalmente venne l'ora di tornare: prendemmo posto sui camion, che gli autisti chiamavano affettuosamente con la sigla che li identificava, gli ACM. Eravamo ormai degli esperti di quei camion: ci erano venuti a prendere alla stazione due settimane prima, quando eravamo arrivati a Merano la prima volta; in borghese, con le nostre borse, salimmo e facemmo conoscenza con quelle panchine poste nel cassone lungo le fiancate. Adesso tornavamo in caserma con la mimetica e il fucile e con tutti gli accessori che ogni giorno indossavamo. Il traffico era abbastanza intenso e la nostra colonna non ne facilitava certo lo scorrimento.


2009


ACM

FOTOGRAFIA © SMALP 155