sabato 27 giugno 2015

Sotto un cielo incerto

 

In quelle mattine al mare restavo sulla spiaggia a guardare le alghe trascinate a riva dalla marea sotto un cielo incerto, respiravo a pieni polmoni l’aria incrostata di iodio e di salsedine. Le nuvole si ammassavano l’una sull’altra mentre il sole dell’alba provava ad attraversarle donando loro dei riflessi dorati, rivestendole di broccati veneziani. E nello specchio d’acqua si raddoppiavano, tanto da non sapere quasi più quale fosse il cielo e quale la terra.

Sedevo sulla veloce barchetta rossa del salvataggio e riordinavo i miei pensieri: provavo a far combaciare le varie tessere della mia vita in un puzzle che sembrava complicato: mi sentivo come se la soluzione fosse una complicatissima formula matematica, come se l’unica via d’uscita fosse la quadratura del cerchio o la trasformazione alchemica dell’oro.

Ora molto tempo è trascorso. Eppure stamattina, attraversando il giardino sotto il cielo incerto di prima estate ho riprovato quell’emozione, come un dejà vu. Non c’era il mare, non c’era la barca del bagnino: soltanto nuvole che si inseguivano nel chiarore dell’alba e un tratto di terra arida dove spuntavano certe erbacce a ombrello. Mi sono sentito per qualche istante il ragazzo di quegli anni. Poi, con una punta di tenerezza, ho riflettuto che la soluzione che andavo cercando in quei mattini di un giugno lontano era molto semplice e si è imposta da sé, come spesso accade nella vita. Ho ripreso i miei passi e sono andato fischiettando a cogliere i lamponi ormai maturi.

 

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

sabato 20 giugno 2015

Un moderno Sisifo

 

Mi manchi. Mi manchi da sempre. Mi manchi da una vita. Eravamo insieme e già mi mancavi. Era qualcosa di te che mi sfuggiva, che non riuscivo a comprendere interamente. Neppure quando ero dentro di te ed eravamo una cosa sola fino a sentire le stelle scorrerci per la colonna vertebrale: ci vedevo come da fuori in quella posa francamente un po' ridicola - come se io fossi lì sopra di te e contemporaneamente fuori dal mio corpo che si agitava sul tuo.

Forse esiste un altro luogo, un diverso possibile, un universo parallelo in cui ci amiamo felici e sediamo compunti tenendoci per mano su una panchina, tu con il berretto di lana azzurro, io con la sciarpa e il bavero rialzato. Forse c'è un tavolino di ferro smaltato di bianco che ci aspetta in uno di questi infiniti universi e in un altro un letto di lenzuola candide di bucato profumate di lavanda e in un altro ancora neppure ci siamo mai incontrati.

Perché dev'essere così difficile amarci? Perché sono condannato a spostare il masso del tuo ricordo su per la china della mia memoria come un moderno Sisifo? Perché devo cercarti e ricercarti e poi quando credo finalmente di raggiungerti mi scappi tra le dita, mi sfuggi come la lucertola che abbandona la sua coda e si rintana tra le pietre? Quale dio mi sono inimicato? O quale dea...

 

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IMMAGINE © LITTLEBEBOOP

sabato 13 giugno 2015

Universi separati

 

Rileggevo il passato nelle carte nautiche della memoria ieri sera, servendomi della mappa di un tramonto che fasciava di violetto e giallo il cielo sopra la pianura come i flessuosi fianchi di una donna con un velo di seta colorata. Come Julia in “1984” di George Orwell – “Una sottile fascia rossa, che fungeva da distintivo della Lega Giovanile Anti-Sesso, era avvolta ripetutamente attorno alla vita, abbastanza stretta in modo da far risaltare più che fosse possibile le sue anche formose”.

La dolcezza del tramonto connessa con il ricordo e con quella reminiscenza letteraria è riuscita a originare una magia ancora più dolce perché ti sapevo inarrivabile, irrimediabilmente già perduta. A Ovest il cielo bruciava, nel cuore mi bruciavi allo stesso modo tu. Nel languore romanticamente dolce del crepuscolo ti ho implorata di ritornare dalle tue lontane età, da quel ghiaccio che congela le fontane dove scorreva limpido il ricordo. Sarei capace ancora di amarti, di instillare fiati di primavera per riscaldare quel che non è più. Ti ho pregata di raggiungermi da quelle tue azzurrità che si riempivano di tanto fascino, dallo spazio, dal tempo, da quell’universo in cui ti infilasti un giorno come in un buco nero lasciando in cenere le mie emozioni, polvere di petali rinsecchiti che furono corolle di papaveri riposti in una scatola da scarpe insieme ai miei ricordi e ai souvenir, a cartoline e a lettere d’amore. Tra il nulla e ieri rivedevo tutti i nostri giorni vissuti accanto a collimare le anime, graduando l’alzo ai sentimenti: fluttuano nell’aria della memoria come dei candidi fiocchi di neve. Quel tempo pioveva sulle estese province del mio sogno: era, ed era quello che solo contava alle inesperte guarnigioni poste a difesa di quella lontana illusione, bene armate ma non equipaggiate di saggezza finché nella battaglia - invero epica – furono ben presto sopraffatte.

Delle nostre parole che cosa resta? Chi serberà memoria dopo noi se già noi stessi le dimentichiamo? Dei nostri giorni insieme si è perduto perfino il calendario, troppo in fretta gettato in un cestino un San Silvestro. Dei nostri giochi, delle nostre sere, della panchina azzurra presso la fontana, dell’isola felice nell’estate che cosa resta già ora, che cosa? Le nostre lettere poi si disperdono, accantonate in remoti cassetti, divise come già siamo noi stessi. “Fu dove il ponte…” ma questa è già un’altra poesia che sento mia nel più profondo del cuore; fu in qualche luogo che adesso precisamente non saprei indicare o forse per lasciare tutto vago io non desidero identificare. Fu. Quel che importa è solo questo: fu. E adesso non è più e un’anima sola si è scissa in due, come fanno le cellule, dando vita a universi separati.

1995

 

Passage

MATTHEW CUSICK, PASSAGE

sabato 6 giugno 2015

Nostalgia

 

Nostalgia. Etimologicamente è il dolore per un ritorno, un dolore dolce, però. E traslando e parafrasando, anche il passato, soprattutto quando è passato da tanto tempo, è un luogo a cui si anela di ritornare, per rivivere quella dolcezza impossibile da gustare adesso. Perché c’è Internet, perché c’è quella stramaledetta televisione, e lo stramaledetto Grande Fratello e la dannatissima Isola dei Famosi. Non si potrà avere nostalgia di tempi così.

Invece le partite a carte di una volta, quando il tempo era davvero “libero” e lo si poteva tracannare d’un fiato per tutto un pomeriggio, per una sera intera, quelle sì che sono degne di memoria e di rimpianto. Anche perché molti di quelli con cui si giocava purtroppo non ci sono più. Ricordo interminabili partite nelle sere d’estate, seduti nella veranda al fresco passabile dell’ombra, con i cugini e il nonno, con lo zio Carletto, con tanti che passavano magari per un saluto e rimanevano fino a mezzanotte a giocare.

Non tressette, quello non lo si gioca qua… Scopone scientifico, il classico intramontabile con carte, ori, primiera e settebello e il miraggio di ottenere la “napola” più alta con le carte di quadri. O la briscola chiamata, quando si era in cinque, dove chi ha più fortuna o più coraggio sceglie di giocare contro gli altri tre pescando un compagno che cerca di rimanere segreto il più possibile. O addirittura con un pizzico di follia scegliere di chiamarsi da soli e giocare contro tutti gli altri quattro, diventando un conradiano compagno segreto di se stesso… Sempre litigando un poco, ma rimanendo amici a carte riposte e con un bicchiere di vino davanti. Nostalgia? Sì, provo nostalgia… non ci penso e mi collego a Internet…

2010

 

Cezanne

PAUL CEZANNE, “LES JOUEURS DE CARTES”