La storia di Edipo è quella di un uomo che lotta invano per sfuggire al suo destino, condannato ancora prima della sua nascita, costretto a vagare con il fardello della sua colpa per il mondo.
”Edipo re” di Sofocle era considerato già nell’antichità un vero e proprio capolavoro: Aristotele nella “Poetica” lo giudicò capace di suscitare contemporaneamente terrore e pietà. Il tragediografo greco lo scrisse nel periodo della sua tarda maturità, già ottantenne, tra il 414 e il 411 a. C.
La trama è notissima: il re di Tebe Laio viene a sapere da un oracolo che il figlio che potrebbe nascergli dalla moglie Giocasta sarà il suo uccisore; quando l'erede infine nasce, per sventare il disegno degli dei, Laio lo fa abbandonare sul Monte Citerone con i piedi feriti - di lì viene il nome Edipo, "piedi gonfi". Il bambino viene affidato al re di Corinto, Polibo, che lo alleva a corte come un figlio; un altro oracolo predice a Edipo, ormai adulto, che ucciderà il padre e sposerà la madre, dalla quale avrà dei figli. Convinto di essere l'erede di Polibo, Edipo abbandona Corinto per raggiungere la Focide: sul cammino incontra Laio e in una futile lite per il passaggio lo uccide. A Tebe sconfigge la Sfinge rispondendo al suo famoso enigma, liberando la città ed ottenendo il premio per chi avesse eliminato il mostro: la mano di Giocasta. Edipo inconsapevolmente sposa la madre ed ha con lei quattro figli. Un terzo oracolo, allo scoppio di un'epidemia, rivela che la malattia è dovuta alla presenza in città dell'uccisore di Laio. L'indagine porta il nuovo re a scoprire di essere proprio lui l'assassino e l'autore dell'incesto: per punirsi si acceca e fugge a Colono, per condurvi il resto della sua sciagurata esistenza.
La fortuna dell'"Edipo re" sta nella sua attualità: il senso del destino, la ricerca delle proprie radici, l'infelicità umana sono temi comuni a tutte le epoche. Il modo di procedere di Sofocle nella ricerca del colpevole può poi ricordare anche la tecnica dei moderni gialli: il fatto che il detective sia l'assassino dà quel tocco inarrivabile di originalità. La conclusione, l'accecamento che Edipo si infligge, è un vero e proprio "coup de théatre": sta al lettore valutare se sia un modo per non vedere più la realtà o, al contrario, il solo modo per vedere, dall'interno e per sempre, tutto l'orrore. La figura di Edipo è poi duplice: è sì il colpevole, ma è anche la vittima innocente, in quanto tutto quello che compie deriva dal destino, dall'onnipotenza degli dei; egli è solo lo strumento di cui il fato si serve per portare a compimento i suoi disegni.
"Mai nessuno giudichi felice un uomo
prima del giorno della morte,
prima che la sua vita sia trascorsa priva di dolore".
Così commenta nelle ultime battute della tragedia il Corifeo, mentre Edipo, cieco, si avvia verso l'esilio a Colono in una scena epica: se fossimo al cinema, sarebbe l'eroe sconfitto che si staglia curvo e solitario in un rosso tramonto.
10 settembre 2008
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