“Il Paese non è affatto pronto. I carri armati sono tutti leggeri e solo 70 sono medi. Le artiglierie sono quelle del ’15-’18, molti pezzi sono bottino di guerra austriaco. La contraerea è inesistente, le munizioni coprono un dodicesimo delle necessità e carburante ce n’è soltanto per otto mesi”. Così c’era scritto nell’ultimo rapporto del generale Rodolfo Graziani a Mussolini. Badoglio, dal canto suo, riteneva altamente insufficiente l’equipaggiamento delle nostre truppe. Ciano, dieci mesi prima, aveva scritto: “In questo momento la guerra sarebbe una pazzia, solo fra tre anni le possibilità di vittoria per l’Italia potrebbero essere dell’80 per cento”.
Insomma, per l’Italia l’ideale sarebbe stato mettersi alla finestra e rimanere neutrale come la Spagna del Generalissimo Franco. Invece alle 16.30 del 10 giugno 1940 il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano comunica all’ambasciatore francese, convocato a Palazzo Chigi, che “l’Italia si considera in stato di guerra con la Francia a partire da domani 11 giugno”. E in serata Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia proclama con la solita enfasi e le studiate pause all’Italia e al mondo: “Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano” per concludere, con parole che risuonano amare e dolorose a noi che conosciamo gli eventi seguiti a quella follia: “La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo”.
Molti decenni sono passati da quella giornata e Italia e Francia sono ora paesi amici, che cooperano all’interno dell’Unione Europea. Hanno anche costituito una brigata mista di alpini della Taurinense e chasseurs des Alpes della 27a divisione. Ma quella “pugnalata alla schiena” che il regime piazzò su un paese dominato dall’invasore nazista, con l’esercito in rotta e un governo fantoccio già pronto a guidarlo per conto dell’oppressore, forse non sarà sanata che dai secoli. Quei 14 giorni di guerra resteranno per sempre una viltà inspiegabile. Io, che amo giocare con i “se” della storia", mi sono talvolta chiesto che cosa sarebbe successo se quel 10 giugno quel balcone fosse rimasto chiuso, se l’Italia fosse rimasta neutrale. Magari sarebbe finita allo stesso modo e inevitabile era per i rapporti di forza la discesa in campo con il Reich. Magari avremmo risparmiato migliaia e migliaia di vite, cancellando gli orrori dei bombardamenti, le carneficine della ritirata di Russia e di Cefalonia, le stragi perpetrate ovunque dalle SS. Ma la storia è quella che è stata e purtroppo non si può farla con i “se”.
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