sabato 18 febbraio 2012

Lettera a me stesso

 

Il sogno. Hai sempre tenuto il sogno come scorta per l’avvenire. L’anelito di speranza che gonfia le vele quando la bonaccia più spaventosa non lascia spazio, che regge il timone nelle tempeste e consente alla tua nave di passare indenne tra gli scogli e riprendere il mare con più tranquillità.

Il sogno che è anche desiderio, che è un impasto di futuro e speranza e che talvolta si perde come una bolla di sapone che non riesce a elevarsi e scoppia senza raggiungere il cielo. Quando è capitato l’hai sempre chiamato illusione, senza disperarti troppo per la sua perdita, neanche lo avessi messo in conto da subito che sarebbe potuta finire così.

Il sogno che qualche volta sconfina nel ricordo e ti porta in luoghi dove sei stato felice e allora forse neppure te ne rendevi conto. Eppure, la felicità ricordata è anch’essa un po’ felicità, se anche sulla sua superficie di perla appare qualche screziatura di nostalgia, mai di rimpianto. Così qualche volta hai preso la macchina e ci sei andato davvero in quei posti: hai rivisto le piante e le case, hai calcato le passeggiate e ti sei aggirato per i moli con l’aria trasognata di chi ha finalmente appagato una sua mira. Sei andato anche a vedere dove avevi dato un bacio, dove ti eri fermato a discorrere, a pranzare, a scrivere una poesia. E quella tua sete si è placata un poco, l’estasi ti ha riempito la testa e il cuore di un’adrenalina che ti ha consentito di tirare avanti fino al sogno successivo.

Che poi quel sogno è qualcosa che è dentro di te e ogni giorno ti freme nelle mani e ti costringe a prendere la penna, la matita, la tastiera del computer e scrivere, scrivere, scrivere… I tuoi versi sono il solo modo per catturare quella bellezza che vedi e che entra dentro di te: la fai decantare sul fondo finché non filtra da sola la purezza cristallina e quella è la parola che esprime il tuo sogno, è la luce che hai racchiuso per un istante e che finalmente riesci a estrarre, a liberare come un cardellino dalla gabbia. Vola, libera, la luce. Vola la poesia che diventa inchiostro di penna stilografica o grafite di matita o una serie di pixel sullo schermo di un computer o caratteri stampati su un foglio bianco.

Che cosa vengo a dirti allora? Che cosa posso dirti se non di coltivarlo ancora quel sogno, di continuare ad annaffiarlo giorno dopo giorno, verso dopo verso, con le amorevoli cure che si prestano a una pianta d’appartamento cui si tiene particolarmente… Ma questo tu lo sapevi già, vero?

 

WILLIAM MICHAEL HARNETT, “STILL LIFE WITH LETTER TO MR LASK”

1 commento:

CT ha detto...

Bello , è davvero così!!!!