sabato 3 marzo 2012

Al bar della signora Rosy

 

Al bar della signora Rosy quella sera offrivo io: mancavano pochi giorni alla mia partenza. La primavera stava esplodendo con il fragore dei fiori colorati che riempivano le aiole. Fuori era buio ma c’era movimento: la Kurhaus, riaperta dopo lunghi mesi di restauro, era affollata; le coppiette gustavano il tepore, la voglia ritrovata di restare fuori dopo il letargo dei fumosi locali obbligato dai rigori del gelo e dalle intemperie.

Ma lì dentro, nel bar, sembrava ancora inverno: il ghiaccio dell’addio era sceso tra noi; non li avrei più rivisti, chissà per quanto tempo, i miei amici con i quali avevo condiviso ore e giorni memorabili. Danilo si fingeva fatalista ma, sotto la scorza, così dura all’apparenza, si lasciava andare al sentimentalismo. O forse era il liquore che iridesceva nel bicchiere sotto le luci.

Carlo invece mi ricordava un comportamento noto, il mio, quando ad andarsene era stato Silvio, partì un mattino d’inverno con il cappotto blu e la sciarpa alla Verdi di quelle sere del teatro; a quanti concerti d’archi, a quanti recital avevamo assistito insieme. Carlo taceva, commosso, si dominava per non lasciare che una lacrima gli colasse per il viso. Anch’io avevo fatto così.

Fabrizio rideva, provava a sdrammatizzare, ma dietro gli occhiali i suoi occhi dardeggiavano meno vispi, i suoi lazzi colpivano come fioretti foderati e lui ne era conscio.

Donato non sapeva che fare, si perdeva nel giornale, guardava la gente passare nella strada, la signora Rosy che lavava i bicchieri, osservava le etichette dei liquori: quella situazione lo imbarazzava.

Non c’erano altri avventori quella sera nel bar; per rompere quella crosta ghiacciata pagai e proposi di uscire: vedere gente, scherzare, ci avrebbe aiutati, ci avrebbe fatto dimenticare perché quella sera offrivo io.

(2 dicembre 1993)

 

MANEL ANORO, “BAR VERDE”

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