sabato 2 maggio 2015

Una sera di pioggia

 

Eravamo seduti in macchina in una sera di pioggia, fermi sotto casa sua. Le gocce cadevano sul parabrezza, si raccoglievano in rigagnoli, disegnavano vene nelle quali fluivano le luci gialle della città. Di tanto in tanto, un’auto passava nella strada illuminando per qualche istante i nostri visi persi nella semioscurità dell’abitacolo. Era primavera e sui vetri cadevano petali dai pruni ornamentali del viale, l’acqua che scrosciava fitta li incollava sui vetri.

La musica di Sade che usciva dal cd si armonizzava bene a quella situazione: “Ti ho dato tutto l’amore che avevo, ti ho dato tutto l’amore che potevo”. Lei mi stava parlando del tempo: pianificava il suo futuro, lo costruiva mettendo insieme gli elementi come se fossero carte e stesse realizzando un castello – la differenza è che non sarebbe stato fragile anzi, solidissimo, con tutte le sue certezze che spesso andavano a cozzare con i miei ghiribizzi di sognatore, con le mie visioni di poeta.

Era un futuro senza di me, l’avevo compreso da tempo: non ero certo uno sprovveduto né un ingenuo, sapevo leggere tra le righe, collegare i segnali, farli combaciare. Che l'amore finisca, dunque, pensavo che si sgretoli... “Continuo a volare, sto cadendo” stava ripetendo ossessiva Sade, la pioggia aggiungeva spazzole jazz a quella musica. Cercavo di misurare le parole, di sostenere una conversazione dignitosa, senza tradire quel groppo in gola che sentivo. Non ferirmi, non ferirmi, pensavo. Lasciamoci così. Meglio il silenzio, meglio il vuoto.

Quando lo disse, quando sputò quel rospo che – anche lei – aveva in gola, mi sentii meglio. “Credo che dovremmo chiuderla qui” era il succo di quell’argomentato discorso, com’era sua abitudine aveva seguito uno schema, facile che si fosse esercitata a casa, che avesse stilato anche un prospettino con tutti i punti, scritti con la sua calligrafia ordinata, senza una sbavatura.

Sollevò il suo volto biondo e sottile e mi guardò seria e compunta. Rimasi zitto e la guardai. Una lacrima le rigò la guancia. La abbracciai. Era tutto finito, ma l’amore ancora in qualche parte del cuore pompava il suo sangue. Era difficile parlare, era difficile persino staccarsi da quell’abbraccio, l’ultimo. “Piove meno, ora. Sali, che è tardi. Tua madre sta in pensiero”. Mi sfiorò le labbra con le dita, poi aprì la portiera e scese nella strada. La pioggia si mescolò alle sue lacrime.

 

Pioggia

FOTOGRAFIA © THE STARLITE CAFE

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