Arano. Ho visto un trattore emerso dalle nebbie nei campi lungo il fiume rivoltare le zolle in maniera regolare, come seguendo un disegno: in realtà non faceva altro che percorrere il solco battuto prima, aderiva alla forma insolita della stradina che costeggia il campo. Dal belvedere del santuario, lo spettacolo era apprezzabile in tutta la sua geometrica precisione: la terra smossa era scura, sembrava fumare anch'essa come l'acqua appena al di là.
E mi è sovvenuta alla memoria da tempi scolastici ormai dimenticati, forse le elementari, forse le medie, "Arano", la poesia di Giovanni Pascoli, tratta da "Myricae". Al campo, dove roggio nel filare / qualche pampano brilla, e dalle fratte / sembra la nebbia mattinal fumare…”
Sullo sfondo nebbioso del mattino d'autunno, quelle terzine dantesche si sono materializzate, sono diventate vive, sebbene il progresso tecnologico abbia allontanato gli uomini dai campi e li abbia forniti di mezzi più efficaci dell'aratro e dei buoi. Sentivo quel grigiore pascoliano, ma sentivo anche quella malinconia sottesa nell'animo. Il realismo si trasformava in un intimo sentimento e lì ho capito Pascoli, ho incominciato ad apprezzare quei versi che ho sempre giudicato ingenui e di maniera, ho intravisto sotto la superficie la vena che scorreva. E la speranza di quelle foglie di vite rosseggianti (i pàmpani) e di quel trillo degli uccelli che pregustano il loro "raccolto" di lombrichi sono diventati la mia speranza, in questa mattina grigia di novembre.
2008
Nessun commento:
Posta un commento