sabato 6 maggio 2017

Il campo estivo

 

Quando tornai dalla prima licenza in “Bosin” – era la seconda in assoluto, un 48 ore – trovai il bergamasco Rovaris, compagno di camerata, che mi aspettava: «Vai al campo estivo» mi disse, «parti mercoledì, un giorno dopo gli altri. Sei capomacchina, ti è andata bene, così non dovrai sobbarcarti la fatica di montare le tende e la rete idrica». Guardavo quel ragazzo biondo e tarchiato e pensavo che ben strani messaggeri sa trovare la vita. Ero dispiaciuto sul principio, ma considerai con il passare del tempo e il consiglio della notte che in realtà si trattava di una buona occasione, era una specie di vacanza dalla caserma, un’avventura di due settimane a Ponte di Legno.

Sapevo bene che ci sarebbe stato il campo estivo – avevamo preparato le tende, le famose “Zamberletti”, montandole, controllandole e smontandole, i materassini, i “clarinetti” ovvero dei tubi per il loro montaggio, le cucine da campo, gli shelter, i vassoi da campo… ma avevo sempre pensato che non sarebbe toccato a me andarci, il mio nome non era mai stato fatto, nessuno mi aveva detto nulla. Quando fu tempo preparai il mio zaino, ritirai l’equipaggiamento al magazzino e un mattino tra il finire della primavera e l’inizio dell’estate saltai sul sedile di un camion della colonna. Faceva freddo per la stagione e al passo delle Palade avevamo in funzione il riscaldamento dell’ACM. Il sottotenente che ci guidava, sul primo di una mezza dozzina di camion, fermò a Cles e ci offrì un caffè in un bar. Fu un gesto che apprezzai molto, denotava la signorilità di quel giovane ufficiale.

Arrivammo a Ponte di Legno, precisamente in Val Sozzine, dopo l’ora del pranzo. Il campo era già funzionante, mancavano solo pochi dettagli. L’impianto idrico era garantito da rotoli e rotoli di tubi di plastica che pescavano l’acqua dal torrente – l’Oglio, in realtà, ma lì appena formatosi – e i servizi igienici erano stati scavati nella terra.

Mi trovarono un posto in una tenda, gonfiai con la pompa il mio materassino, vi stesi la coperta e il cuscinetto e vi lasciai lo zaino. Cominciarono due settimane di servizi quasi a giorni alterni: corvée cucina, guardia, corvée caserma – che poi significava semplicemente tenere pulito il campo e lo spiazzo dell’adunata particolarmente. Ebbi però il tempo di raggiungere Ponte di Legno, distante un paio di chilometri a piedi, con i miei sodali: andavamo nei bar, nelle paninoteche, cercavamo la vita nella libera uscita che poi consisteva di una birra, un panino con lo speck e il brie e le patatine al chiosco del luna park che stazionava sotto la cittadina, un giro alla UPIM il pomeriggio del sabato e della domenica e fare su e giù per i vialetti che si intersecavano intorno al ponte di legno al centro del paese. Guardavamo anche le partite degli Europei di calcio: a Merano, al Mac Rolands, avevamo visto l’Italia di Vicini pareggiare con la Germania Ovest e battere la Spagna. La sera che si giocò Italia-Danimarca montavo di guardia: faceva un freddo impensabile per giugno: mi fecero indossare il berretto norvegese e il maglione a collo alto sotto la mimetica e mi diedero una bottiglietta di plastica di cordiale che ingollai nel bel mezzo della notte quando il freddo mi parve insopportabile. Avevo la radiolina con l’auricolare ben mimetizzato sotto la falda della norvegese: segnarono Altobelli e De Agostini e l’Italia vinse 2-0 qualificandosi per la semifinale contro l’Unione Sovietica. Quando finì la partita, ascoltai musica. La partita decisiva invece la perdemmo 2-0 e la vidi comodamente seduto in un bar del centro di Ponte di Legno.

Una domenica montai invece di guardia tra i sacchetti di sabbia del bunker posto all’ingresso, sacchetti che avevamo riempito sulle rive dell’Oglio. Trascorsi un'ora lì dentro, guardando i motorini e le automobili passare sulla strada: ragazze e ragazzi che andavano al luna park. Il tenente colonnello, il maggiore, il maresciallo Petruccelli e il sergente Acito giocavano a carte a un tavolino posto all'ombra di un larice. Certo, mi sarebbe piaciuto essere in paese, percorrere le stradine e fermarmi a bere una birra in un bar con i miei commilitoni, ma il dovere era il dovere. Meglio lì che in cucina a lavare le stoviglie metalliche e i pentoloni. Inoltre con l'arrivo del nuovo scaglione, ero salito anche di un gradino: ora ero "nipote di seconda" e avevo almeno qualcuno sotto di me. Le auto che correvano veloci verso Ponte di Legno facevano vibrare l'aria: i miei pensieri scivolavano via veloci e il tempo passò in fretta.

 

Campo estivo

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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