sabato 27 maggio 2017

Notte di luglio

 

La notte di luglio se ne andava via sotto un cielo di stelle, il mare continuava a cullare la sua inquietudine onda su onda, minuto dopo minuto. Venivamo dal chiasso della discoteca, avevamo ballato a lungo e la musica dei Novecento ci restava nelle orecchie come un mantra: “I'm movin' on, my love play until a new day comes back glad to see me movin' on, my love pray that you won't lose me. I'm movin' on… I'm movin' on”. Avevamo acceso un falò con qualche legnetto strappato alla marea e una copia del Gazzettino abbandonata su una sdraio. Ci sembrava che anche i nostri sogni ardessero in quel modo, che quel sentimento festoso che provavamo l’uno per l’altra divampasse allegro su quella spiaggia di notte.

Vivevamo il momento: forse quell’essere consapevoli del carpe diem, quel nostro essere consci che avevamo soltanto il presente e non il futuro, era ciò che ci riempiva di ebbrezza. Non avevamo niente da chiedere l’uno all’altra, non avevamo pretese, ci appartenevamo soltanto per poco, per il brevissimo spazio di qualche giorno e notte di luglio, ed era giocoforza vivere ogni cosa intensamente, allo spasimo. Amarci aveva una sorta di densità: non dovevamo pensare alla malinconia dell’addio, all’amarezza dell’abbandono, ma dovevamo concentrarci soltanto su quello che facevamo, per farlo nostro, per trasformarlo irrimediabilmente e istantaneamente in ricordo.

Restavamo sdraiati a guardare le stelle, mentre la brezza portava spruzzi e le faville volavano alte e rosse nel buio. Eravamo ebbri di noi, ebbri delle parole che dicevamo, insensate, inutili, vuote, eppure così necessarie per non disperarci, per non salutarci lì, una volta per sempre. Il futuro non esisteva, era una nebulosa troppo grande e troppo lontana da raggiungere, non potevamo di certo preoccuparcene.

Poi luglio finì…

 

IMMAGINE © LITTLEPAWZ/TUMBLR

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