sabato 12 maggio 2018

Il fiume


Il fiume correva via tranquillo negli argini rinforzati dal cemento. Tra piccole chiazze d'olio dai colori iridescenti, ritta sulle zampe sottili galleggiava via veloce un'idra. Sembrava una miniatura di quelle immense gru per tagliare il marmo che punteggiavano le cave qua e là nel panorama.

Luca guardò Michela, seduta sul prato accanto a lui. Una ragazza esile e gentile, piccola nel golfino di lana azzurro che gareggiava con la tinta dei suoi occhi. Le teneva la mano quando riuscì finalmente a dire: "Me ne vado. Sono stanco di questo paese, sono stanco di non trovare opportunità. Dovunque, ma lontano da qui, ricomincerò". I gabbiani planavano lenti, il riflesso dei loro voli saettava nell'acqua, come volesse scomporre anche lo specchio dei pensieri. Luca sentì la mano di Michela irrigidirsi a quelle sue parole, vide il suo sguardo spegnersi e riempirsi di lacrime.

Quell'estate non trovò il coraggio di partire, forse non l'avrebbe trovato mai. Rimase al paese a lavorare saltuariamente nelle cave, a respirare polvere di marmo e amarezza. Continuava a uscire con Michela, ad amarla nei prati lungo il fiume. Facevano progetti: sposarsi un giorno di giugno con il canto dei grilli in una chiesa di campagna, il grano maturo nei campi, le rondini e i papaveri rossi mossi dal vento. Michela andò a comprare l'abito da sposa, bianco con tante rose ricamate.

A ottobre, in lacrime, la ragazza lo aspettava all'uscita della cava, tra i singhiozzi riuscì a dirgli "Sono incinta". Luca rimase tutta la notte a pensare al futuro, a pensare al suo futuro con Michela. Si spaventò e lo spavento gli diede il coraggio che in estate non aveva trovato. La mattina si fece liquidare e con la sua borsa di viltà scappò lontano, lasciò il paese che non gli piaceva, il lavoro che non apprezzava e la ragazza che credeva di amare.

Michela si trasferì con la madre in un paese un poco più lontano, sul lago: era triste e piangeva spesso, riteneva la sua esistenza un unico sbaglio mentre nel suo grembo fioriva una vita. Il bambino nacque a maggio e lei doveva impiegare tutto il suo tempo ad accudirlo. Le mancavano le feste, le nottate in discoteca, le mancavano i cinema, le domeniche lungo il fiume concluse con un gelato o una pizza. La giovinezza, con tutta la sua esuberanza, le era di peso.

Luca aveva trovato un lavoro che amava, lontano. Era un lavoro duro ma ne era appagato. Un giorno capitò un uomo che veniva dal paese: da lui seppe che Michela aveva avuto un figlio. Suo figlio. Il cielo sopra le ciminiere era grigio come metallo, sporco quanto il fumo che usciva dalla fabbrica. Il sole era una sfera rovente e lontana, una bianca particola. Luca lo guardò a lungo e giurò che non sarebbe tornato.

Un mattino di luglio Michela lesse sul giornale che una donna aveva immerso nel fiume il bambino che non desiderava, adagiato in una cesta di vimini, proprio come Mosè. Il piccolo era stato trovato da un pescatore e portato all'ospedale, dove le infermiere facevano a gara a coccolarlo. Quel giorno guardò suo figlio nella culla, rimase a lungo in ginocchio a osservarlo. Le ginocchia le facevano male sul duro pavimento, ma rimase lì a guardare il suo bambino e a pregare.

Finalmente lo prese in braccio e si incamminò con lui alla stazione, prese il treno e tornò al paese dove era cresciuta. Scese al fiume, proprio dove poco più di un anno prima Luca le aveva detto che sarebbe partito. Posò il bambino sulla sponda. La foschia penetrava nell'acqua, il sole dardeggiava...
Michela si sfilò dal dito l'anello di fidanzamento, tolse dal sacchetto di carta l'abito da sposa e li buttò nell'acqua verde. Guardò il fiume correre via, verso il mare. Prese il suo bambino e ritornò a casa, lo mise nella culla. La ragazza sorrideva, finalmente sorrideva.

NOTA: questo raccontino fa parte di una serie particolare: è in effetti la trasposizione del testo di una canzone. Gli appassionati di Bruce Springsteen avranno riconosciuto “Spare parts”, dall’album “Tunnel of love” del 1987.


Spratt

TINA SPRATT, “IL FIUME DEI SOGNI”

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