sabato 8 settembre 2018

Osteria “Il Bocconcino”


Nel taschino della camicia c’è qualcosa che mi da fastidio: lo tolgo, un pezzettino di carta deteriorato dal lavaggio. Riesco a ricostruirlo, a leggerne la scritta, per quando sbiadita e gualcita: “Osteria Il Bocconcino”. E i ricordi iniziano a sgorgare come acqua da una fonte di montagna. Roma. Un caldo lunedì di maggio, la camicia a maniche lunghe proteggeva la mia pelle sensibile scottata dalla permanenza al sole il giorno prima sulla spiaggia di Latina. Fuori, a duecento metri, il Colosseo…

Un localino raccolto con tavoli all’aperto oltre i vasi con i pitosfori. Una tipica osteria romana, con le tovaglie a quadri e luci soffuse. Fuori, oltre la porta aperta, la gente che passava per Via Ostilia nel chiarore della primavera romana. Nella tranquillità del ristorante il primo pomeriggio passava languido e indolente con il trascorrere delle portate: l’antipasto di salumi, corallina, bruschette di coratella, poi i tagliolini con verdure e pecorino, l’arista con prugne, l’agnello con scarola e uvetta. La ragazza dietro il banco portava la sua eleganza di gazzella qua e là per la sala.

Dopo il caffè, il sole caldo della Capitale, la luce viva e abbagliante che accompagnava il traffico nella strada che corre intorno al Colosseo. Passeggiare lentamente per Via Capo d’Africa e poi per Via dei Santissimi Quattro verso San Giovanni in Laterano fu un’impagabile emozione. Come se nell’aria risuonassero “I pini di Roma” di Respighi… Le pietre stesse parlavano della grandezza della città, raccontavano aneddoti di condottieri antichi e di gente qualunque, il vetturino, il tassinaro, Commodo e Nerone.

Quel bigliettino da visita lacero e consunto è stato la chiave che ha aperto un mondo di ricordi…


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