sabato 13 ottobre 2018

La villa


Ora che lentamente gli alberi si spogliano disegnando tappeti dorati sul terreno, dalle finestre di casa esposte a meridione posso scorgere l'altana di una villa signorile costruita agli inizi del Novecento o forse sul finire del secolo prima: i decori in stile liberty ne sono testimonianza.

È un'apparizione che ogni autunno mi sorprende, per poi svanire nel rigoglio di aprile, quando le foglie ornano tigli, carpini e noccioli formando una coltre verde che fa piombare nel dimenticatoio la villa. Se mi ricordo della sua esistenza, è quando vi passo davanti sulla stradina ombrosa e fresca e ne intravedo i vecchi muri oltre la cancellata arrugginita e il lungo viale immerso nel folto giardino quasi come una cicatrice tra le piante.

Guardo quella grande casa in queste giornate d'autunno e ricordo un'altra villa signorile dove andavo a ripetizione di greco dalla giovane figlia di un medico che era stato un elemento locale di spicco del regime fascista. Mi ero sempre meravigliato di quanto giovane fosse la figlia e quanto anziano il padre: allora lei non era neppure trentenne, il genitore era sull'ottantina.

Arrivavo con la mia bicicletta, suonavo con timore al campanello e aspettavo che mi aprissero il largo cancello, poi entravo nel piccolo giardino all'italiana, sempre ben curato: in attesa che la ragazza scendesse mi sedevo su una panchina di granito consunta dal tempo e annerita dai muschi e dai licheni, osservavo le siepi di martellina e gli altissimi pini, le magnolie che profumavano con i loro fiori bianchi e carnosi quell'ombra che sapeva di muffa.

Mi sentivo catapultato in una poesia di Gozzano: quel posto poteva essere Villa Amarena, dove la Signorina Felicita conduceva la sua esistenza nel sogno di un'attesa vana o la romantica scena dove Carlotta e Speranza a metà Ottocento parlavano rapite dei loro amori. Poteva essere la casa dove Totò Merumeni si chiudeva a lasciarsi vivere, a meditare sull'arte e a scrivere poesie...

Poi la ragazza che mi doveva dare lezioni di greco arrivava con la sua gonna svolazzante o con un vestito estivo a fiori e mi conduceva nel regno segreto, in quelle stanze che odoravano sorprendentemente di cera e di lavanda, ci accomodavamo al grande tavolo dello studio e iniziavamo a tradurre in quella lingua ostica e affascinante, soffermandoci a valutare un aoristo o un ottativo.

Adesso guardo quell'altra villa dalla finestra, una tazza di caffè nella mano e tutti i miei ricordi aggrovigliati nel cuore. Cerco di rammentare il nome di quella ragazza, ma ne rivedo solo le fattezze, il viso bello e rotondo; ne risento la voce correggermi con dolcezza, salutarmi quando inforcavo la bicicletta per ritornare a casa. Mi sento come un altro personaggio di Gozzano, il sopravvissuto che "fissa a lungo la fotografia / di quel sé stesso già così lontano: / «Sì, mi ricordo... Frivolo... mondano... / vent'anni appena... Che malinconia!...»


Sargent

JOHN SINGER SARGENT, “VILLA DI MARLIA, LUCCA”



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