sabato 27 aprile 2019

In questa uniforme di tuo soldato (2)


7. Merano, Caserma Battisti, Sabato 15 luglio 1988 (278 all'alba)

C'è stato temporale questa notte. Ora il cielo è azzurro e si riflette nelle pozzanghere sull'asfalto. I monti mi tentano come un'Eva dei paradisi perduti, mi fanno intravedere la libertà, quella che le gazze si portano in giro volando da un abete a un campanile romanico. Sto cominciando a conoscere questa caserma, la Cesare Battisti. Da una settimana mi hanno trasferito al Battaglione Logistico Orobica: sono assegnato alla Delegazione Presidiaria in qualità di scritturale. Vesto ogni giorno la divisa della festa: adesso quella estiva con pantaloni e camicia chiara: gli stivaletti hanno preso il posto delle pedule. Dopo due mesi ho finalmente la mia collocazione definitiva nell'ambito dell'esercito italiano. Sono contento di trovarmi qui, anche se rimpiango un po' la Bosin: qui non c'è la mensa, che hanno iniziato a ristrutturare, e si pranza e si cena in un locale di fortuna servito dalle cucine da campo. A pranzo arrivo sempre tardi, perché l'ufficio chiude alle 12 e la cosiddetta mensa apre alle 11.30. Quando mi siedo al tavolo sono già le 12.15 e mi porto sul vassoio quello che c'è: riso scotto o pasta, pollo, una bistecca, quando va bene la cotoletta appena impanata. La sera esco sempre, anche perché non ho né mai avrò servizi da svolgere, essendo il nostro ufficio, per il suo status particolare di appendice del Presidio di Bolzano, esentato dai compiti di caserma. Esco da solo, qualcuno poi trovo sempre per la città. Raramente ceno solitario. "Rainer", il "Pic-nic Grill" e la "Marinara" sono le mie mete solite. Qualche volta sperimentiamo posti nuovi.

Al momento sono alloggiato nel Minuto Mantenimento, ma appena ci sarà il congedo del 6°/87, Danilo, che è del mio paese, mi ha già trovato una branda nella sua camerata della Comando. L'ufficio si affaccia su Via Palade, proprio davanti all'ippodromo e ha una sua uscita privata. Mi hanno dato le chiavi e già fantastico sulla possibilità di uscire di soppiatto. Per arrivarci devo attraversare un bel pezzo di caserma: i depositi degli automezzi e dei cingolati, la casetta del sarto, il magazzino delle trasmissioni, le caldaie. Eccomi arrivato. La ramata verde, il cancelletto: entro nella mia nuova oasi.

8. Merano, Delegazione Presidiaria, Sabato 23 luglio 1988 (270 all'alba)

“Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale" c'è scritto nel racconto di Cesare Pavese che sto leggendo seduto nell'ozio del sabato estivo alla mia scrivania. Il maresciallo Ciulla è andato in città, il mio collega Ferrari è partito per la licenza ordinaria e tra un mese si congederà. Mi fa riflettere quella frase, mi fa pensare quanto mi manchi il sapore del sabato mattina adesso che sono qui. mi manca come l'aria. Era giorno di spesa il sabato: si andava al supermercato o nel grande negozio di ortofrutta. Poi c'erano da sistemare i meloni in cantina, la frutta nel locale lavanderia, le scatole di pasta e riso nella dispensa. Intanto il caffè bolliva sul gas e l'aroma si spandeva per la cucina. Mi sedevo a leggere il giornale guardando le lame di sole che entravano dalla finestra, sbocconcellavo il pane appena comprato.

Invece sono qui nella Delegazione Presidiaria, in questi freschi locali che un tempo furono il Circolo Sottufficiali, e guardo dalla finestra le ragazze con i vestiti a fiori che attendono l'autobus alla fermata. Invidio loro quella libertà di salire in città, di entrare in un negozio. Quando saliremo noi, sarà già passata l'una e i negozi saranno già chiusi. Magari con Miglio, il mio nuovo amico del Nucleo Carabinieri qui di fronte, scenderemo a Bolzano a bighellonare per il centro e a mangiare una fetta di torta nella pasticceria lungo i portici.

9. Merano, Kota Radja, Lunedì 8 agosto 1988 (254 all'alba)

Questa sera soffia vento d'Oriente: con Miglio e altri tre della camerata siamo venuti a cenare al Kota Radja, il ristorante cinese di Via Manzoni. Varcato il cancello siamo entrati in un mondo tutto nuovo. Tra le canne di bambù e il fruscio delle sete, ci gustiamo le "nuvole di drago" e la birra di Shanghai. Dal pergolato pendono lampioni di carta di riso, nel patio accogliente si aprono ombrelli di Nanchino.

Ceniamo mentre la brezza suona leggera le campane a vento e le cameriere ci insegnano a usare le bacchette ridendo appena come sanno fare solo gli orientali. Scherziamo come se fossimo degli antichi sodali stasera: Merano e le caserme sembrano così lontane mentre mangiamo pollo speziato e riso alla cantonese. Fingiamo di non sapere che oltre la porta scorre il Passirio e centinaia di militari sono a passeggio lungo il fiume e riempiono i cinema, i bar e le gelaterie.

10. Merano, Via Palade, Domenica 2 ottobre 1988 (199 all'alba)

Siamo usciti dal cancello su Via delle Palade e camminiamo lentamente verso la stazione ferroviaria di Maia Bassa. Io e Miglio, una coppia di amici ormai affiatata: lo affascinano la mia conoscenza dei classici e certi miei atteggiamenti. Io, al contempo, ammiro la sua abilità nel suonare la chitarra, la sua predilezione per la musica classica e la sua sincerità. Se i primi due elementi si traducono in qualche serata trascorsa al Teatro ad ascoltare quartetti d'archi, l'altro, la sincerità intendo, si manifesta in domande che fioriscono improvvise come un colpo di mitragliatrice. Come adesso: stiamo andando a prendere il treno per Bolzano e mi spara: "Ma tu che cosa pensi di me? Che persona credi che io sia?". Sono tre mesi che ci conosciamo e lontano da qui non so nemmeno neanche cosa faccia. Eppure glielo dico. Prima impressione, certo, ma è quella che di solito non sbaglia. Probabilmente sarà un'amicizia che non passerà Natale: a dicembre lui si congeda. Credo che non ci incontreremo più, eppure questa amicizia è intensa, concentrata, forse anche perché siamo consci di questa sua effimera durata. "L'espace d'un matin" gli dico e gli spiego che cosa significhi. Alla stazione troviamo altri ragazzi che conosciamo e il discorso che andava indagando nel nostro io si zittisce. Scendiamo guardando i campi di meli insieme agli altri. Li lasceremo al Mc Donald's di Piazza Walther o in qualche cinema. Scommetto che Miglio vuole andare a fare il filo alle cameriere della pasticceria lungo i portici. Cappuccino, Sacher e un po' di corte.

11. Merano, Haisrainer Weinstube, Piazza Duomo, Domenica 1° gennaio 1989 (108 all'alba)

L'anno nuovo è cominciato con bottiglie di spumante e fette di panettone, un'ora dopo il contrappello. Ero - straordinariamente, in quanto uno dei pochi graduati rimasti - caporale di giornata. Fuori, lampeggiava la grande scritta LAS VEGAS di un luna park nell'area dell'ippodromo. Tutto era così irreale, compresi gli auguri scambiati in camerata e i brindisi nei bicchieri di carta con vino scadente. La mia fascia rossa di caporale di giornata pendeva da uno dei pioli della branda, le luci azzurre di guerra riverberavano nella notte. "1989" mi ripetevo "1989, è l'anno dell'alba".

La festa non è ancora finita: per le strade ci sono bottiglie vuote e botti esplosi, carte colorate e stelle filanti. Noi reduci della camerata, quelli che hanno preferito la licenza di Natale a quella di Capodanno, pranziamo da Haisrainer, la taverna proprio di fianco al Duomo. Sono il più "anziano" come scaglione e il più alto in grado. Da queste cose si riesce ad apprezzare quanto tempo sia passato da quel 29 aprile. Ferrario, Bettoni, Perego, Cantoni che condividono con me questo pranzo del primo dell'anno si congederanno tra settembre e ottobre, mi considerano con un pizzico di invidia e con molto rispetto... Mangiamo pasta al sugo e spiedini alla zingara e parliamo del nuovo anno: siamo tutti più spensierati, come se avessimo attraversato una porta e fossimo entrati in una nuova stanza. Siamo oraziani coglitori di attimi.

Il gelato lo andiamo a mangiare da "Bruno". Quando ci portano il resto ci sono mille lire fior di stampa, quelle con Maria Montessori e i bambini. Ferrario prende una penna rossa, scrive la data sulla banconota e la firma. Poi ci invita tutti a siglarla. Alla fine, quando ognuno ha apposto la sua firma, la ripone come un santino nel portafogli: "Ragazzi, non sapete che ricordo mi avete regalato". Negli occhi gli si legge già il lampo di quando, tra qualche tempo, quando si sarà congedato, frugherà nel portafogli e ritroverà per caso quelle mille lire. Saremo simulacri allora, ricordi a cui la sua memoria cercherà di associare un volto. Resteremo sempre i ragazzi di oggi, 1° gennaio 1989, su quella banconota.

12. Merano, Delegazione Presidiaria, Mercoledì 11 gennaio 1989 (98 all'alba)

E ho varcato anche la fatidica soglia dei 100 giorni: il mach pi cento dei cadetti. Niente di che: una sera normale. Nella mia condizione di aggregato sono tagliato fuori dalle cene di scaglione, dai gruppi che si conservano nelle piccole caserme. Con il congedo del 1°/88 diventerò "vice", un grado di scaglione che sfiora l'onnipotenza. Già i servizi di scopa in camerata non mi toccano più. Le divise cominciano ad essere sformate, i cappellini hanno la tesa sempre più arcuata, il mio cappello è più largo e indurito grazie al trattamento con il cordiale. È prerogativa di chi ha passato i 100 giorni all'alba portarlo così.

Quell'asfissia che ho provato il primo giorno, quando i camion ci hanno condotto dalla stazione alla caserma, quel senso di soffocamento che ho sentito appena oltrepassata la sbarra a righe bianche e rosse, si è allentata notevolmente, va svanendo giorno dopo giorno. È proprio vero, come recita la cartolina che ho comprato al "Pandemonium": "Chi naja non prova libertà non apprezza”. Ora so che bene prezioso essa sia, ti rendi conto di quanto ti manchi solo quando non l'hai più: è una donna amata e perduta che desideri infinitamente.

13. Merano, Delegazione presidiaria, Mercoledì 1° febbraio 1989 (77 all'alba)

Ho fatto un sogno strano questa notte: ero in riva al mare e rientravano nel mattino i dragamine, lontane sagome scure nell'alba. Con me c'era Paola. Ci togliemmo le scarpe e lei, sbarazzina, mi trascinò nella bassa marea. Correvamo tra le pozze e la felicità ci gonfiava i cuori. Amaro è stato il risveglio quando il caporale di giornata è passato battendo manate sugli armadietti: "Giù dalle brande!" Mi ci è voluto un po' per raccapezzarmi, per capire che non mi trovavo nel comodo letto di un albergo sul mare, ma nella mia branda di militare.
Lavandomi, ho ripensato al sogno. Non era mai avvenuto nulla di simile. Ma l'inconscio è l'espressione dei nostri desideri, il sogno non fa altro che realizzarli. Strano che sia giunto solo adesso, che sia arrivato in una caserma di Merano. Un'alba d'amore per chi attende un'altra alba. A proposito, 77 giorni...


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Merano, Delegazione Presidiaria, Ottobre 1988: Al… lavoro

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