sabato 13 aprile 2019

Terrazza sul mare

Le dita di Paola scompaiono nell’onda castano chiara dei capelli profumati di shampoo alla mela e di balsamo - quella lucentezza è anch’essa una sorta di profumo - e come i denti di un rastrello li solcano lasciandoli morbidi e leggeri. Poi scoprono l’orecchio, piccolo, ben disegnato, caratteristica che definisce bene anche i suoi seni. Così facendo rivela l’orecchino che riflette le luci della sera. Il suo sguardo è sicuro, lo è sempre stato, è sempre stata lei a comandare.

Non la troverò mai scossa dal pianto, come la ragazza che addossata a un muro singhiozzava con il viso arrossato. Parlava al telefono e piangeva. Le ho chiesto se andasse tutto bene, se avesse bisogno di aiuto. Ma era solo l’amore… Era l’amore che la faceva lacrimare, che la rivelava fragile agli occhi della gente. Paola no. Paola non piange. Paola è la samaritana che ti prodiga cure, è la bambina curiosa che vuole vederti dentro, come un giorno aveva aperto la sua bambola, come rovesciava i sassi per osservare il brulichio di insetti, il lombrico scoperto che si rinserrava nella terra smossa, lo scarafaggio che correva via veloce sulle zampette esili. È la bambina che prende in mano la chiocciola e attende paziente che tiri fuori le antenne dal guscio per poi darle una foglia di insalata come premio.

Ora Paola è seduta sul grande tappeto, la gonna è risalita e le lascia scoperte le gambe. Stringe al petto un mazzo di rose chiare, cerca un vaso per mettercele, quelle rose carnose e lucenti. Infine lo trova, un vaso di cristallo lavorato a onde: vi pone le rose con un gesto aggraziato e tenero, a metà tra la ballerina e la madre.

Il mare è un frantumarsi e ricomporsi di riflessi, un grande caleidoscopio monocromo: lo si vede oltre il balcone, lontano, nell’azzurro pomeriggio. Qualche vela bianca, qualche wind-surf vi galleggia come una mezza dozzina di farfalle. Poche barche, lasciate sulla spiaggia sembrano gusci vuoti di chiocciole.

Tra poco sarà il tramonto e già il mare cambia di colore, tingendosi di un grigio ardesia. Paola mi dice che ama quest’ora, quando tutto diviene rarefatto. La guardo e studio quel suo modo di parlare, come si pongono le labbra, come la luce plana nei suoi occhi scuri, come il respiro le muove il seno nella canottiera leggera.

So già che un giorno se ne andrà via e mi porterò nella memoria l’eco dei suoi passi, quelli che adesso vibrano elastici sulla passerella di legno, e quel calore dolce sulle labbra dove marchierà l’addio l’ultimo bacio... So che sussulterò nel ritrovare in un cassetto il nastro per legare i capelli o le conchiglie che raccoglie subito dopo l’alba o la matita verde con la gomma mordicchiata nel risolvere un cruciverba.

Ma ora ci apparteniamo, su questa terrazza, dove lei, sorpresa una goccia tra i petali della gardenia, mi fa partecipe di quel mondo riflesso a rovescio: è come sbirciare l’universo da uno spioncino. “In una goccia pensa quante cose possono stare” mi dice, “pensa che l’infinito può racchiudersi in così poco”. La abbraccio forte e mi sento anch’io universo infinito guardando il mondo riflesso nei suoi occhi.

2009


FOTOGRAFIA © GEORGE MEIS

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