sabato 31 agosto 2013

Un appuntamento

 

«Dunque me ne stavo lì con le mani in mano in quel salone tutto illuminato, con la musica e i ballerini che mi vorticavano intorno. Ascoltavo il fruscio delle gonne nel valzer e il colpo secco dei tacchi e meditavo di andare a farmi un goccetto al bar, quando d'improvviso, come sbucata dal nulla, una ragazza mi invitò a ballare.

Era una bionda minuta, con i lunghi capelli sule spalle e un filo di trucco a correggere forse qualche leggera imperfezione dei tratti, sapete come fanno le donne, no? Il suo corpo era splendido, ben fatto, nella normalità... voglio dire: non aveva seni enormi o fianchi esagerati, o inesistenti che sembrasse un uomo. Una bella ragazza, insomma, e mi chiede di ballare. Io ero lì che mi annoiavo e, invece di dirle che non so proprio ballare, accettai. Forse neppure lei era tanto capace, così sorvolò sui miei difetti e danzammo tutta la sera.

Non ci crederete, quando andò via mi fissò un appuntamento, sì: fu proprio lei a fissarlo, “Vediamoci sul lungofiume domani sera, vuoi? Ti va bene per le nove?"»

Alle otto e tre quarti, finito di cenare in un ristorante sotto i portici, era tornato a casa che era quasi buio, aveva preso una birra dal frigorifero e si era disteso vestito sulle coperte a guardare la televisione. Dopo un po' la spense. Forse provava davvero rimorso per aver abbandonato quella ragazza, sentiva un po' di compassione per quella creatura docile e indifesa, permeata di dolcezza, forse anche di ingenuità, che aspettava invano appoggiata al parapetto, magari le veniva anche la tentazione di buttarsi giù. Pensò anche di scendere a vedere se fosse là, invece si alzò a prendere un'altra birra e tornò a sdraiarsi.

Se la immaginava parlare con un’amica, dirle “Gli uomini sono tutti dei mascalzoni” e giù a raccontarle la storia di quel damerino impomatato che in quel salone sembrava far tappezzeria ma che forse stava là perché on sapeva ballare troppo bene e che proprio per quello le aveva fatto tenerezza...

«Le donne!» disse «E magari mi aspettava là sulla panchina con l’idea di andare in qualche posto, in qualche camera a fare l’amore... Sì, perché la bellezza fisica, vedete, passa velocemente, viene recisa come un fiore di papavero quando si fa la messe... Magari voleva fare qualcosa intanto che è giovane, godersela, spassarsela. Perché, credete a me, alle donne non resta altro da fare che sdraiarsi sulla schiena, credetemi».

Così almeno ci raccontò una sera al Café Liszt, seduto davanti a una mezza dozzina di bicchieri da vodka vuoti, a pochi metri da luogo in cui la ragazza gli aveva dato appuntamento, quasi trent’anni prima.

23 ottobre 1995

 

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CASSANDRA RONNING, “GREECE, MAN IN CAFÉ”

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