sabato 12 ottobre 2013

Seguendo la voce di Venezia

 

Dopo molti anni sono tornato a Venezia. E l’ho fatto con lo spirito del viaggiatore e non del turista, come mi piace quando visito una città. Per questo ho seguito il consiglio di Tiziano Scarpa, scrittore veneziano: “Anche a Venezia, basta che alzi gli occhi e vedrai molti cartelli gialli, con le frecce che ti dicono: devi andare per di là, non confonderti, Alla ferrovia, Per san Marco, All'Accademia. Lasciali perdere, snobbali pure. Perché vuoi combattere contro il labirinto? Assecondalo, per una volta. Non preoccuparti, lascia che sia la strada a decidere da sola il tuo percorso, e non il percorso a farti scegliere le strade. Impara a vagare, a vagabondare. Disorientati. Bighellona”.

Così ho fatto: mi sono perso, mi sono lasciato condurre per le calli, per i ponti, per campi e campielli seguendo l’ispirazione del momento, una luce, uno slargo o al contrario una strada che si apriva tra i muri come una fessura. Ho lasciato che fosse Venezia a chiamarmi, a guidarmi, a suggerirmi il percorso. Una bifora, una bandiera, una teoria di panni stesi, un riflesso rovesciato nell’acqua lucida di un canale, un campanile apparso all’improvviso dopo una delle tante curve o emerso da un sotoportego, un palazzo fiorito scendendo da un ponte in qualche fondamenta.

Ed ho potuto sentire l’anima di Venezia, il suo canto sommesso e misterioso, la sua bellezza antica e piena di storia, le leggende dei dogi e dei nobili. Ho scorto qua e là il fantasma di una bautta, l’ombra di Casanova, lo spettro di Goldoni, lo spirito di Vivaldi. Ho colto quel suo fascino sottile che emana dai campielli deserti dove spicca una vera da pozzo, dai balconi fioriti, dalle facciate dei palazzi.

Certo, mi sono avventurato anch’io fino al Ponte di Rialto, fino al carnaio umano di Piazza San Marco. Ma mi sono allontanato subito, via da quella folla che prende la città per un enorme parco dei divertimenti, per una Disneyland sull’acqua. Io fotografavo Venezia, cercavo di immortalarne la grazia, di imprigionarne un pezzetto nel piccolo file digitale, i turisti erano invece impegnati a fotografare se stessi in posa davanti al campanile o alla basilica o sulle balaustre di Rialto.

Me ne sono andato verso l’Accademia, perdendomi ancora una volta da Campo San Moisè in là per Calle delle Ostreghe, per Calle dello Spezier, per Campo Santo Stefano, assaporando la lingua veneta sulla lingua come un dolce. Perché viaggiare non è vedere un posto, non è sedersi quasi annoiati su una panchina, non è ciondolare tra un monumento e l’altro come per un contratto: viaggiare è un atto di amore con una città.

5 ottobre 2013

 

Venezia4

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

2 commenti:

Virgola ha detto...

anch'io sono anni che non ci vado, come e' da molto tempo che non apro il tuo sito, e curiosamente ci sto andando proprio ora con mio fuglio in treno. che bella coincidenza e come e' vero quello che dici

DR ha detto...

buona permanenza a Venezia allora