sabato 23 novembre 2013

Come Pessoa

 

“Dorme nel sogno di esistere e nell’illusione di amare”: Fernando Pessoa pensava a me quando scrisse questi versi. In realtà pensava a un tipo d’uomo che si immedesima in un sogno, e indomabile lo persegue. Pensava a se stesso, Pessoa, che nel “Libro dell’inquietudine” scrisse ancora: “Nessuno si stanca di sognare perché sognare è dimenticare e dimenticare non pesa ed è un sonno senza sogni in cui siamo svegli. Nei sogni ho ottenuto tutto”.

Ecco: nei sogni io ho ottenuto tutto. Nei sogni io ho vissuto: dormendo esistevo, vivevo un’altra vita, come la volevo, come la desideravo, come la sognavo. Nei sogni ero il signore del mio regno, il despota assoluto che piegava al suo volere il destino. Nel sogno io ho amato lei, l’avevo tra le mie braccia. Nel giorno, nei territori concreti del reale invece possedevo soltanto l’amaro lavacro della mia nostalgia: e lei era un altro simbolo di malinconia. Infine, se proprio devo dirla tutta, lei, la donna reale, non era altro che un’immagine funzionale, che facesse al caso mio, una figura cui dare da recitare quella parte, una Beatrice da Commedia, un vaso che contenesse il mio sogno – quel mare infinito d’amore che da me sarebbe altrimenti traboccato invano. Ed è per questo che l’ho amata: incarnava in ogni gesto il mio sogno e soltanto grazie a lei aveva vita: era vero e involuto, un arzigogolo compiuto, una trama intricata di connessioni. Ma lei era solo un’illusione. Amavo il suo simulacro. E, come Pessoa, allora davvero posso dire: “Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler d’essere niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo”.

 

Pessoa

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