sabato 2 novembre 2013

Il colonnello

 

Il colonnello D. guidava un vecchio Volkswagen Maggiolino color scarabeo, aveva una barba sale e pepe e la fama di pazzo: i soldati lo temevano per le punizioni che spesso distribuiva a casaccio, senza senso. Al campo estivo di Ponte di Legno, per dire, diede sette giorni di CPS ad una sentinella che, fedele alla consegna ricevuta, rimase in silenzio quando lui, di ritorno dal paese a mezzanotte, lo interpellò: «Parla, rispondimi! Sono il tuo comandante!». All'adunata del mattino fu lui stesso a raccontare il fatto, rosso in viso, furibondo, e qualcuno di noi si immaginò la faccia che aveva la sera prima, quella di Michelangelo quando scagliò via il martello perché il suo Mosè non parlava. Quella volta tutti lasciammo con grande fretta lo spiazzo e ognuno quel giorno compì il suo dovere con grande diligenza e attenzione. Sempre in quel campo estivo il colonnello un giorno sorprese le guardie addormentate nella tenda che fungeva da corpo di guardia: stavano riposando, com’era giusto che fosse, mentre un altro soldato era alla sbarra. La punizione immeritata fu anche per loro sette giorni di CPS.

Ma il colonnello D. era burbero anche in caserma: punì un caporale per essersi attardato un po' di più alla pausa spaccio delle quattro: stava seguendo una tappa del giro d’Italia che attraversava il suo paese. Nessun lavoro sembrava ben fatto, c’erano sempre foglie da raccogliere, piatti e pavimenti da rilavare, magazzini da mettere in ordine. Quando il fischietto e il rombo del Maggiolino annunciavano che il colonnello aveva varcato il cancello ed era uscito, tutta la caserma, dai soldati ai sergenti, dai marescialli ai sottotenenti, persino i muri credo, si rilassava, paventando il momento in cui il fischietto avrebbe annunciato nuovi guai.

Rimasi solo un mese in quella caserma diretta dal colonnello D., poi venni trasferito. Ritornai solo all’atto del congedo, per soli tre giorni. Per oltre nove mesi però avevo udito parlare - mi trovavo in un’altra caserma della stessa città - di punizioni strane e immotivate, gli ex compagni nei bar mi raccontavano storie surreali ed episodi strambi in cui il protagonista era il colonnello. Così, tornando nella sua caserma, tolsi la spilletta metallica con il numero 5 dal fregio del cappello - mi avevano detto che faceva scattare la punizione -e nascondevo i capelli troppo lunghi da congedante, cercavo di girare al largo il più possibile. Però facevo male: il colonnello D. ci firmò libere uscite per quei tre pomeriggi e lo trovai affabile il mattino in cui mi consegnò il congedo: «Bravo, hai svolto un buon lavoro. grazie. E auguri per la vita da civile». Se si accorse che ero rimasto a bocca aperta non lo so... Poi mi ripresi e lo salutai, stringendogli la mano.

21 giugno 1999

 

Colonnello

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