sabato 8 novembre 2014

La fine di un amore

 

Splende il sole della memoria in questo cielo ancora sospeso tra l’estate e l’autunno, indeciso come certe gioventù che non si decidono a finire: e come per un miracolo, per un incantesimo, spalanca nuovi valichi, apre le porte del tempo se non alla fisica dei corpi almeno alla nostalgia azzurra dei ricordi.

E ora la stanza si è trasformata in un salotto milanese, al secondo piano di un palazzo dalle parti della stazione di Porta Garibaldi, tra le fermate della linea verde di Gioia e Moscova. Ci sono le buone cose di pessimo gusto di gozzaniana memoria, centrini, tappeti, porcellane, cristalli nelle vetrinette. E un divano di pelle color cuoio su cui siede lei: è la casa dei suoi, ha vent’anni e indossa un abito azzurro a fiorellini e sandali dorati sulle gambe nude.

Anch’io ho vent’anni nei miei blue-jeans e nella mia camicia azzurra. Sono venuto per parlarle, per dirle tante cose che probabilmente non riuscirò neppure a dirle, per provare a riconquistarla, a ricucire. Ci sovrasta quel cielo pesante, una cappa di smog che grava sui grattacieli di Gioia, sugli alberi delle Varesine, del vicino Parco Sempione. Il panorama alla finestra potrebbe essere quello di un dipinto di Sironi. Lei sembra leggermi nel pensiero. Si alza con grazia, chiude la finestra, lascia fuori il traffico. Ha preparato il tè nel frattempo, lo posa sul basso tavolino e poi si siede accomodando il vestito sotto le gambe con quel suo gesto che ho sempre giudicato terribilmente sexy.

Parliamo di noi, dei nostri sentimenti, ma alla fine le mie ipotesi di riallacciare i rapporti non si rivelano altro che illusioni fraintese, da rosee si sono fatte grigie come quei vecchi palazzi che un tempo mostravano disegni in stile liberty e adesso sono coperti da anni di fumi di scarico. Registro la fine di un amore – per quanto breve è stato, profonda è però la sua stilettata. Nessuna scena, nessun litigio: muore così, per un intimo soffocamento, per un’asfissia autoprovocata...

Molti anni sono passati da allora. È un piccolo ricordo ormai che torna dalle nebbie del passato. Chissà chi ci abiterà ora in quella casa. So che qualche mese dopo la sua famiglia si trasferì in una zona più periferica, dalle parti di Piazzale Dateo. Poi la persi di vista nel deserto metropolitano. E ora, in un giorno così simile, è riaffiorata la sua memoria da un articolo di Repubblica sui luoghi dove andavamo io e lei, sulla Milano che fu, straziata dalle ruspe che costruiscono il volto nuovo della città in vista dell’Expo.

 

Diebenkorn

DIPINTO DI RICHARD DIEBENKORN

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