sabato 13 giugno 2015

Universi separati

 

Rileggevo il passato nelle carte nautiche della memoria ieri sera, servendomi della mappa di un tramonto che fasciava di violetto e giallo il cielo sopra la pianura come i flessuosi fianchi di una donna con un velo di seta colorata. Come Julia in “1984” di George Orwell – “Una sottile fascia rossa, che fungeva da distintivo della Lega Giovanile Anti-Sesso, era avvolta ripetutamente attorno alla vita, abbastanza stretta in modo da far risaltare più che fosse possibile le sue anche formose”.

La dolcezza del tramonto connessa con il ricordo e con quella reminiscenza letteraria è riuscita a originare una magia ancora più dolce perché ti sapevo inarrivabile, irrimediabilmente già perduta. A Ovest il cielo bruciava, nel cuore mi bruciavi allo stesso modo tu. Nel languore romanticamente dolce del crepuscolo ti ho implorata di ritornare dalle tue lontane età, da quel ghiaccio che congela le fontane dove scorreva limpido il ricordo. Sarei capace ancora di amarti, di instillare fiati di primavera per riscaldare quel che non è più. Ti ho pregata di raggiungermi da quelle tue azzurrità che si riempivano di tanto fascino, dallo spazio, dal tempo, da quell’universo in cui ti infilasti un giorno come in un buco nero lasciando in cenere le mie emozioni, polvere di petali rinsecchiti che furono corolle di papaveri riposti in una scatola da scarpe insieme ai miei ricordi e ai souvenir, a cartoline e a lettere d’amore. Tra il nulla e ieri rivedevo tutti i nostri giorni vissuti accanto a collimare le anime, graduando l’alzo ai sentimenti: fluttuano nell’aria della memoria come dei candidi fiocchi di neve. Quel tempo pioveva sulle estese province del mio sogno: era, ed era quello che solo contava alle inesperte guarnigioni poste a difesa di quella lontana illusione, bene armate ma non equipaggiate di saggezza finché nella battaglia - invero epica – furono ben presto sopraffatte.

Delle nostre parole che cosa resta? Chi serberà memoria dopo noi se già noi stessi le dimentichiamo? Dei nostri giorni insieme si è perduto perfino il calendario, troppo in fretta gettato in un cestino un San Silvestro. Dei nostri giochi, delle nostre sere, della panchina azzurra presso la fontana, dell’isola felice nell’estate che cosa resta già ora, che cosa? Le nostre lettere poi si disperdono, accantonate in remoti cassetti, divise come già siamo noi stessi. “Fu dove il ponte…” ma questa è già un’altra poesia che sento mia nel più profondo del cuore; fu in qualche luogo che adesso precisamente non saprei indicare o forse per lasciare tutto vago io non desidero identificare. Fu. Quel che importa è solo questo: fu. E adesso non è più e un’anima sola si è scissa in due, come fanno le cellule, dando vita a universi separati.

1995

 

Passage

MATTHEW CUSICK, PASSAGE

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