sabato 12 marzo 2016

Avventura a Tokyo

 

La mia stanza qui a Tokyo è di dodici metri quadrati. Mi sento inscatolato. Come una sardina. Il sonno però è abbastanza tranquillo, forse perché sono praticamente imbalsamato. ‘O Faraone Vincenzamon. Il jet-lag comunque si fa sentire e mi sveglio che sono le 5 di mattina. Mi disimballo e mi vesto praticamente come una marionetta tanto i movimenti sono condizionati dalla stanza. Come sarà la vita fuori? Mi avventuro con il mio inglese migliorabile e una gran voglia di caffè. Caffè, quello vero, quello fatto con la napoletana…

Nella hall c’è un cameriere che parla un po’ di italiano, avendo lavorato qualche tempo a Milano. Gli chiedo ridendo dove posso trovare del vero caffè e con efficienza nipponica mi dice che c’è un tizio che ha un chioschetto al parco dell’Università di Tsukuba, non distante da qui. Mi indica la strada da seguire, è facile, del resto si intravedono gli alberi. Lo trovo. Pasquale Capone detto ‘O Giappunese mi racconta la sua storia. Come Colombo è emigrato dalla parte sbagliata del globo: credeva di andare in America e invece si è ritrovato qui, a Tokyo. Stessi grattacieli, lingue e scritture diverse. Ma tanto a lui che gli importa? Non conosce l’inglese e neanche il giapponese… Ma ha imparato quel tanto che basta per vendere il suo caffè. E i giapponesi apprezzano il caffè italiano. Sorseggio il liquido scuro nella tazza e mi sembra di essere in Paradiso, altro che a Tokyo. Posillipo, il Vesuvio… Ma non è solo a gestire il chioschetto: arriva anche un siciliano, Salvatore Ficarra, che si porta appresso una borsa a rotelle per la spesa, c’è dentro la granita di caffè, mi dice.

Pasquale Capone e Salvatore Ficarra sono i due lati di una stessa moneta, quella dell’italiano che si trova a suo agio ovunque nel mondo e vi porta il suo bagaglio  di umanità e di arte dell’arrangiarsi. Non mi meraviglierei di trovare altri così. Invece, salutato il siciliano, dopo il caffè e la granita, entro in un negozietto gestito da giapponesi e mi compero dei biscotti. Speravo ci fosse non dico una massaia di Portici con le sue sfogliatelle, ma almeno un parigino con dei croissant. Invece c’è un’altra napoletana, che mi si attacca al braccio e mi spinge in un negozio dove vendono kimono. Ne esamina qualcuno, con un’aria da intenditrice assolutamente fuori luogo. “Dotto’, grazie, grazie assai” dice, e intanto getta occhiate nella strada dove la polizia sta ammanettando Salvatore Ficarra. “Ma io ve lo ricambio ‘stu favore, dotto’, state sicuro”. Mi mette in mano un foglietto con un numero di telefono. Se vi trovate nei guai, chiamate qui” dice facendomi inquietare in maniera impressionante. “Quassi cosa”… Con la coda dell’occhio vedo che anche Pasquale Capone viene arrestato e un poliziotto viene verso il negozio.

Assunta Capone è una cozza. No, non intendo dire che è brutta. Può piacere. È una cozza perché si avvinghia e non mi molla. Riesco a infilarmi in un taxi e mi faccio condurre all’hotel. Ma… il tassista è Salvatore Ficarra. “Dottore” mi fa”, non si preoccupi, sono dei servizi segreti: è da quando è arrivato in Giappone che la sorveglio. Mi sono infiltrato nella gang e con l’aiuto della polizia nipponica siamo riusciti a sventare un complotto ordito ai danni della sua persona”. Prosegue: “Lei deve sapere che Assunta e Pasquale Capone sono…” ma si zittisce all’improvviso perché Assunta è riuscita a infilarsi anche dentro il taxi. E non so più di chi fidarmi, può anche darsi che il sedicente Ficarra sia ricercato dalla polizia di mezzo mondo e pure dal commissario Montalbano (in effetti, ora che ci penso, non mi ha mostrato nessun tesserino). E in tutto questo bailamme si sono fatte le dieci e ho appuntamento alle 11 a Yushima, sul Kasuga Dori. Cosa faccio? Chiedo al tassista-latitante di portarmi là? Oppure dovrei scendere? E ‘sta pazza me la porto dietro come garanzia? Gesummaria, che dilemma! Prendo dallo zainetto la Sig-Sauer che porto ben mimetizzata tra le mappe e i succhi di frutta, ha il silenziatore già innestato. Sparo prima ad Assunta, poi a Ficarra. Non se ne accorgono nemmeno.

Sono le 11. Sono a Yushima, sul Kasuga Dori. È l’ora del mio appuntamento. Ecco  l’uomo che mi attende. Indossa come sempre il suo gessato e gli occhialini con la montatura d’oro. Hiroshi Kawasaki, è il potente capo di “Entropia”, una setta segreta affiliata alla Yakuza. Deve darmi il nome del mio prossimo “contatto” da eliminare. Come quando clicchi con il tasto destro su Cestino e poi su “Svuota”. Questo è il mio lavoro. Quel nome che Kawasaki ha scritto su un foglietto che poi ha bruciato nel posacenere è quello di un noto manager giapponese. Sta a Chiba, una cinquantina di km da Tokyo…

“Adesso basta, ragazzi. Ragazzi, per favore! Un minimo di dignità!”

Buongiorno. Lascia che ti spieghi, caro lettore: io sono il “deus ex machina”, l’espediente che permette di portare avanti una storia. “Deus” nel vero senso della parola. Perché questo è il Paradiso, è bello ma spesso ci si annoia, e allora i ragazzi si inventano giochi di ruolo per divertirsi un po’ e passare il tempo. È per questo che non muoiono mai. Dunque. San Salvatore, San Vincenzo, Sant’Assunta e San Pasquale si sono inventati questo giochetto ambientato a Tokyo. Ah, vi lascio indovinare chi ha scelto per sé il ruolo del capo di Entropia…

23-28 febbraio 2010

 

(rielaborato dal gioco collettivo di scrittura realizzato per Enakapata)

 

Tokyo

FOTOGRAFIA © RED BUBBLE

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