C’erano Stephen e Julie e poi quella sciattona che viene di solito la domenica pomeriggio, che ride sguaiata come sempre e poi ancora l’immagine di come si vive laggiù, le notizie sparse racimolate in certi supplementi di quotidiani. È il sogno di stanotte, ho sognato stanotte? Perlomeno adesso non ricordo se ho sognato e tutta questa gente era nel mio sogno? Prima di tutto, prima di ogni cosa devo metabolizzare il sogno: bisogna ricordarlo perché tutto prosegua, rammentarne i personaggi e le parole, la parte recitata nel teatrino. Ma ricordo solo che mi ha svegliato il formicolio di una mano all’alba.
«Vedi, c’è una ragazza» disse l’uomo con i baffi, «una ragazza che farebbe per te». E sua moglie, quella donna grassa, aggiunse: «Insieme stareste davvero bene». E questa ragazza non l’ho vista, immaginavo una cena galante e le passeggiate domenicali avvolti nei cappotti invernali in attesa che fosse primavera. Ero felice, com’ero felice! Con velocità e con le mani libere, pattinando sul ghiaccio con le lame affilate, volteggiano i pensieri e si incasellano quasi da soli nelle parole, riempiono vestiti che vanno loro a pennello, le pieghe cadono con la grazia e l’eleganza delle pattinatrici e delle ballerine.
Sogno, sogno, non faccio che sognare. E sogno ad occhi aperti, ad occhi chiusi. Sogno di giorno, sogno di notte. Sogno altri luoghi, sogno altri momenti. E mi risveglio sempre nel presente. Non ho nulla da perdere né da trovare se lavorando sulle parole gioco tra i corpi delle attrici-statue (cosa saranno le immagini del sogno?) strenuamente continuo a suddividere il già suddiviso. Il viso dolce sorridente ammicca al niente dal piccolo cono d’ombra che vela più di quanto celi, che in fin dei conti in pratica rivela, quel viso bello e levigato, gemello di quel seno che più sotto s’erge, fortezza violata da una carezza ardentemente invocata. Quel viso che non appartiene al corpo ma che semmai spetta ad un’altra estasi, ad un romanticismo non sensuale, ad un amore platonico o tale da esaurirsi in vigore intellettuale.
Ma questo forse non era un sogno, no: era un pensiero, ma cosa non ricordo e questo è il tarlo che mi rode e che non si calmerà fino al momento in cui avrò ricordato. Cos’era? Cosa non ricordo? E perché la sua presenza era così forte da farmi male? Non riesco a ricostruire il luogo né le circostanze, né i fatti che si sono svolti, se ci siamo parlati, se ci siamo baciati e ci siamo amati, ricordo solamente quella forza irresistibile della presenza.
Sono strani questi miei commerci di sogni – gli scambi tra gli esploratori e gli indigeni: pezzi d’oro per conchiglie, argento contro cianfrusaglie. E in quelle isole senza spazio e tempo, in quelle isole dolcemente perse nella mente baratto l’oggi e l’ieri, in cambio del passato do il presente. E sono contemporaneamente il venditore e l’acquirente. È un universo che possiedo quando immagino di avere la realtà e tra le mani ho null’altro che un sogno: ma non c’è sgomento o rimpianto al risveglio, soltanto la consapevolezza che nel sogno vivo un’altra vita.
1997
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