sabato 21 maggio 2016

Adriano

 

Il treno percorreva la pianura, la solita tratta di ogni giorno, da Bergamo verso ovest, verso il sole. Fuori scintillava la luce del mezzogiorno ormai passato: la corsa partiva alle 13.05 precise dal binario 4. La nostra compagnia era eterogenea, variegata, si era andata formando a poco a poco, conoscenza dopo conoscenza, un amico di amico dopo l’altro.

Ci trovavamo sull’ultimo vagone, tassativamente nella carrozza per non fumatori. Di solito si rideva e si scherzava, si parlava di calcio o di donne, di moto, di auto, della musica del momento: era il periodo di transizione tra la discomusic degli Anni ’70 e la new wave degli Anni ’80. Tra gli italiani andavano per la maggiore Alberto Fortis, Rino Gaetano e Lucio Battisti. C’erano anche ragazze nella compagnia: si faceva un po’ la corte, con loro si parlava anche di film o di quello che avevamo visto alla televisione, dei posti che visitavamo la domenica. L’unica cosa che ci eravamo tacitamente vietati era di discorrere di scuola, di quello che avevamo fatto la mattina, dei compiti che avremmo dovuto fare nel pomeriggio. Quel momento era una specie di zona franca, un’oasi dove ricaricare le batterie e riposare la mente.

Ma quel giorno qualcuno lanciò il sasso: era un ragazzo di un paio d’anni più vecchio, ce n’erano due o tre che facevano la quarta geometri o la scuola di chimica dell’Esperia. La domenica successiva si votava per le politiche e loro, che avevano già compiuto i diciotto anni, si sarebbero recati alle urne per la prima volta. Chi aveva preso la parola si chiamava Adriano, era un piccoletto riccioluto con i bicipiti sviluppati dai pesi e una passione smodata per i Rolling Stones: «Ma voi domenica per chi votate?» chiese, poi gettò uno sguardo a noi e si corresse prontamente aggiungendo un «o per chi votereste?». Giuseppe si accarezzò i baffetti e disse di non fare mistero, che la sua famiglia era sempre stata comunista e che perciò anche lui avrebbe votato per il PCI. Davide disse di essere ancora indeciso, ma che probabilmente avrebbe scelto il Partito Liberale, sebbene i suoi avrebbero votato Democrazia Cristiana. «E voi che non votate?” chiese Adriano. Laura e Donatella si appellarono alla segretezza del voto ma poi si dissero orientate eventualmente verso i socialisti o i socialdemocratici. Emanuele e Nicola si dissero democristiani. Io mi dichiarai, cosa che poi più volte avrei ripetuto come una boutade nel corso degli anni, “agnostico” o “politicamente ateo”, schifato da quel sistema dei partiti. «Vedi, ti do ragione» mi disse Adriano, avvicinandomisi e battendomi una mano sulla spalla «questo sistema è superato e un giorno imploderà su se stesso. Per questo stavolta ho deciso di dare fiducia al Partito Radicale: voterò Pannella».

Questo ricordo è rimasto per anni sepolto nei meandri nella mia memoria: si è presentato all’improvviso quando, aprendo Facebook il pomeriggio del 19 maggio 2016, ho appreso della morte di Giacinto Pannella, detto Marco, come era indicato sulle schede elettorali. Un partito e un personaggio che non ho mai votato, ma che sapeva farsi sentire e ritagliarsi i suoi spazi. Aveva attirato giovani come Adriano in quelle politiche del 3 giugno 1981 e in elezioni successive, aveva condotto le sue battaglie anche con atteggiamenti provocatori. La domanda successiva che mi sono posto è stata però più privata: se Davide, Emanuele e Nicola mi capita ancora di incontrarli, che fine hanno fatto Laura e Donatella e Giuseppe? E soprattutto, che ne sarà stato di Adriano, con la sua tracolla militare sulla quale aveva scritto con la biro nera “I was born in a crossfire hurricane”?

19-20 maggio 2016

 

Treno

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