sabato 25 febbraio 2017

Presso l’Adda

 

A Imbersago, Brianza lecchese, nel piazzale dove ci si imbarca sul traghetto di disegno leonardesco che attraversa il fiume Adda, c’è una lapide sul muro con incisa una poesia di Salvatore Quasimodo, quella che comincia così: “Striscia l'Adda al tuo fianco nel meriggio / e segui l'ombra a rovescio del cielo.  / Qui, dove curve pecore risalgono / con il capo affondato dentro l'erba,  / saltava l'acqua a taglio della ruota, / e s'udiva la mola del frantoio  / e il tonfo dell'uliva nella vasca”. Una scelta davvero azzeccata: ci si mette lì un po’ di profilo e, leggendola, si possono tradurre quelle parole in immagini, come se fosse un film. Ecco il cielo riflettersi nell’acqua e le nuvole che fanno a gara con i germani nello sguazzare; ecco i boschi della sponda dove ancora raramente capita di incontrare le greggi, soprattutto d’inverno, e di notare i loro bioccoli lanosi appesi a qualche spina di roveto. Se non c’è la mola del frantoio, è possibile trovare qualche manufatto per lo scolo delle acque; di certo per tutta la bella stagione c’è il sambuco, dapprima odoroso con i suoi fiori bianchi, poi adornato delle sue belle bacche scure; le canne palustri agitano al vento le loro chiome, riempiendo vasti tratti in prossimità della riva.

Adesso è normale apprezzare questa tranquillità, questo scenario di pace: quando Quasimodo scrisse questa poesia, la guerra era ancora un freschissimo ricordo, probabilmente si era conclusa da poco. Ma da qualche parte, presso l’Adda, il poeta siciliano trova risposte alle sue domande: la vita a primavera riemerge, le piante rinverdiscono, porgono il loro saluto alla terra in un emblema della lotta dell’umano al disumano, così diverso dall’«erba maligna» che «tra tombe di macerie solleva il suo fiore». E in questa rigogliosa natura anche il poeta adesso ritrova la sua certezza, mentre con la mano fa schermo agli occhi, abbacinati dai riflessi dell’Adda.

 

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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