sabato 4 febbraio 2017

Tradizioni

 

Questa mattina, invece delle solite fette biscottate con un velo di marmellata, ho accompagnato il mio caffè americano appena macchiato di latte con una fetta di panettone. Già, perché oggi è San Biagio e a Milano e in gran parte della Lombardia è tradizione propiziarsi la salute della gola mangiando panettone e recitando un Gloria. Almeno, questa è la versione moderna di quella tradizione: un tempo si intingeva nel latte del pane messo da parte a Natale, divenuto nel frattempo secco e tenuto al riparo nella credenza. Un’assicurazione taumaturgica, possiamo dire, così come la benedizione della gola con le candele del 2 febbraio, Presentazione di Gesù al Tempio, ma ormai per tutti la Candelora, che se fa bello dall’inverno siamo fora, se plora o tira vento invece ci siamo dentro.

Ho sempre amato queste piccole tradizioni, che siano appunto taumaturgiche o apotropaiche, come il fatto di avere in casa del sale quando inizia l’anno, per propiziare affari e salute. Anche le lenticchie mangiate tra San Silvestro e Capodanno naturalmente hanno l’identica funzione per attirare il denaro, vista la forma tonda come monetine dei legumi. O il fatto di bruciare l’anno vecchio o un suo fantoccio tra Sant’Antonio e la fine di gennaio, una liberazione che apre alla nuova stagione del raccolto. Punteggiano il calendario un po’come i proverbi che mescolano superstizione, saggezza contadina e ingenue rime per divinare il tempo atmosferico. Così per San Giovanni si raccoglie la camomilla da seccare poi per le tisane dei lunghi inverni, e ancora si colgono i malli verdi delle noci, ancora morbidi, per farci il nocino. O ancora nei più terribili temporali estivi, per ingraziarsi il cielo, si brucia un ramoscello dell’ulivo benedetto a Pasqua. E ancora le tradizioni di fine anno: la cassoeula della settimana di Ognissanti e la trippa della vigilia di Natale – quest’ultima è forse l’unica cosa che aborro tra tutte queste. E restano anche nel parlato modi di dire che risalgono a tempi remoti, come “fare San Martino” per dire “traslocare”: i primi di novembre, alla fine della stagione, era il periodo in cui scadevano i contratti di mezzadria e, se non rinnovati, i contadini dovevano prendere le loro masserizie e trasferirsi da un’altra parte. 

Sono consapevole che tutte queste cose svaniranno con il tempo, ingoiate dal progresso, dal cambiamento non solo delle abitudini di vita ma anche dalla trasformazione di una società contadina in una tecnologicamente avanzata. Però mi fanno sentire bene, mi ricordano da dove vengo, mi richiamano quelle radici che sono alla base di ciò che sono adesso, mi rammentano i racconti dei nonni, ricreano quella civiltà contadina di polenta e granturco, di verdure dell’orto e frutti della terra, di vanghe e zappe e letame, che ha poi fatto i conti con le macchine, con la rivoluzione industriale. Ecco perché questa mattina ho intinto la mia fetta di panettone nel caffelatte: aveva il sapore del tempo anche se non era il pane di Natale. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto sicut erat in principio, et nunc et semper et in sæcula sæculorum. Amen…

 

San Biagio

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