sabato 24 novembre 2018

Non eri mia


Non sei mia. Non lo sarai mai. Non lo sei mai stata. Mi è solo parso per un attimo o un’estate che tu lo fossi. Ma non lo eri: tu eri semmai la scialuppa di salvataggio e io il naufrago alla deriva nell’oceano, aggrappato a te con ogni mia forza. Una nave di passaggio mi ha tratto in salvo e tu sei galleggiata via, per sempre.

Eppure in quei giorni riuscire o fallire erano così simili a vivere e morire e colpi di stiletto mi trafiggevano il cuore. Non eri mia. Non so come abbia potuto crederlo, davvero non lo so: forse ero come un’allodola accecata dallo specchietto e vi stavo precipitando contro, mi stavo sfracellando contro quel tuo amore. Qualche cosa che passava di lì mi ha distratto, mi ha salvato facendomi deviare la picchiata.

Non eri mia, eppure l’apparenza deve avermi ingannato; recitavi Prévert: “Noi ci amiamo noi viviamo, noi viviamo noi ci amiamo e non sappiamo cosa sia la vita cosa sia il giorno e non sappiamo cosa sia l’amore”, ti stringevi a me, lasciavi che le mie mani ti cingessero, ti comprendessero, ti abbracciassero tutta. Non eri mia. Uscivi dal mio abbraccio e scomparivi per giorni interi finché all’improvviso nella posta, tra comunicazioni della banca e dépliant pubblicitari, compariva la tua lettera, bianca, profumata.

Guardavo il francobollo verde, leggevo l’annullo postale per sapere dove ti trovassi, con mano incerta laceravo l’orlo superiore della busta rischiando di ferirmi con il tagliacarte per l’emozione. E leggevo la tua scrittura tondeggiante e inclinata sulla sinistra, lasciavo che il “Carissimo”, i “mio caro”, gli “amore mio” mi colassero in gola fino a strozzarmi, gioivo delle ”entusiasmanti novità”, scorrevo avidamente la lettera fino all’agognata chiusa “Incontriamoci…”

Ma non eri mia. Ci incontravamo dove proponevi tu, come sempre avevamo fatto: anche quando uscivamo nei giorni felici eri tu a guidare le danze, a dire “Andiamo in quel bar” o “Proviamo quel nuovo locale”, eri tu a scegliere le strade, le discoteche, i negozi, come una padrona di casa. E ci incontravamo, ci baciavamo, parlavamo del tempo passato da soli, dei nuovi progetti, delle complicazioni insorte, recitavi Prévert: “Amore mio noi ci amiamo noi viviamo noi viviamo noi ci amiamo e non sappiamo cosa sia la vita e non sappiamo cosa sia l’amore”.

Non eri mia. Dopo qualche tempo scomparivi e io aspettavo che ritornassi, che telefonassi, che scrivessi da chissà quale luogo. E tu ritornavi, telefonavi, scrivevi… Finché un giorno te ne andasti in modo diverso, iroso, sbattendo la porta, nera, e qualcosa dentro di me disse “Non torna, non tornerà più”.

Non eri mia. Non lo sei. Non lo sarai mai. del resto non lo sei mai stata. Mi è parso solo per un attimo o un’estate che tu lo fossi, ma non lo eri. Io però continuo a cercare nella posta una tua lettera con il francobollo verde, un verde più intenso, un verde quasi blu, perché da allora sono cambiate anche le tariffe postali.

1992


Vettriano

JACK VETTRIANO, “PENSANDO A TE”



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