sabato 30 giugno 2012

Troppi anni

 

Tempo ne è passato. Tanto tempo. Il giorno è questo, solo nella cifra, solo nel mese. Era venerdì allora, oggi è lunedì. È cambiato il secolo, il secondo millennio è scivolato nel terzo. È crollato il muro di Berlino, sono state abbattute dai terroristi le Torri Gemelle di New York, c’è un altro papa, c’è un altro presidente della Repubblica, negli Stati Uniti un nero è diventato presidente. Sono state combattute guerre in Afghanistan e in Iraq, si è dissolto l’impero sovietico, il vento della democrazia ha cacciato l’orso russo dalla Polonia, dall’Ungheria, dalla Romania. La Cecoslovacchia si è divisa, così anche la Jugoslavia – e le sirene della guerra hanno suonato per la prima volta in Europa dopo il 1945 - la Germania si è unificata. La tecnologia ha proposto oggetti inimmaginabili, televisori dallo schermo ultrapiatto, computer e telefoni portatili, tavolette e smartphone con i quali collegarti a Internet dovunque. Ah, Internet non c’era…

Tempo ne è passato davvero tanto, acqua sotto i ponti ha eroso le arcate, le sponde, ha levigato sassi sul fondale. Gente è nata, altra se ne è andata. I bambini sono cresciuti, gli adulti sono invecchiati. Fogli di carta sono ingialliti, pagine di libri sfarinano, le rilegature cedono. Polvere si è posata su case e mobili, arredi sono stati sostituiti, oggetti sono stati rimodernati, facciate intonacate, pareti ridipinte. Vestiti, maglie e camicie sono stati usati e usurati, gettati, dati alla Caritas, usati come stracci per pulire i vetri. Altri sono stati acquistati nelle boutique del centro, nei nuovi franchising dei centri commerciali. Automobili hanno percorso migliaia e migliaia di chilometri, sono state demolite, rottamate, vendute, date in cambio di un’auto nuova e questa a sua volta demolita, rottamata, venduta, data in cambio… e altre e altre ancora.

Ma adesso, ora che il mio orologio – un altro, non il Wyler Vetta che avevo quel giorno – segna le due e un quarto, adesso io sto pensando a te, a quel pomeriggio afoso, tanto che le nuvole si appiccicavano addosso. Sto pensando che tutto cominciò quando mi sedetti al tuo fianco e cominciai a parlare. Tu raccontavi, io raccontavo. Tu mi guardavi, io ti bevevo con gli occhi. La matita verde con cui riempimmo cruciverba chissà dove sarà finita. E i miei jeans e la mia maglietta blu a righe gialle, e il tuo vestito azzurro, le tue ciabattine bianche, le mie espadrillas chiare… Tanti anni sono passati. Troppi anni. Ma è come se non fossero mai trascorsi se rivedo il tuo sorriso nella penombra dello specchio. Fu quel sorriso a farmi innamorare…

 

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HENRI CARTIER-BRESSON, “SIDEWALK CAFÉ”

2 commenti:

CT ha detto...

emozionante.....
è emozionante.

DR ha detto...

sono contento: allora sono riuscito a trasmettere l'emozione che ho provato scrivendolo