sabato 14 settembre 2013

Un incontro alla stazione

 

Paola si materializzò nella stazione semideserta delle quattro del pomeriggio; nell’afa di quel caldo giorno d’estate sembrava proprio un miraggio.

«Dopo tanto tempo...» Era ancora la stessa, forse il corpo addirittura un po’ più affusolato nonostante i dieci anni trascorsi. Indossava un abitino color verde mela, dello stesso stile e della stessa eleganza che ricordava, come del resto anche in quell’ultima scena che per tanti anni si era portato appresso: quello spolverino bianco che sventolava nella brezza settembrina.

«E così ora che cosa fai? Ti occupi ancora dell’azienda di famiglia?» Anche le parole, i gesti, erano gli stessi di allora, quelli della ragazza adolescente che provava i primi rossori, che pensava a divertirsi e ogni sera inventava qualche cosa di nuovo, qualche posto insolito dove andare. Gli stessi gesti, le stesse parole di quel settembre avanzato in cui per l’ultima volta furono insieme, mentre il cielo già sporco di smog s’incupiva per l’avvicinarsi di un temporale.

«Il tuo treno parte subito o hai tempo?» per lei avrebbe preso anche l’ultimo treno, vi avrebbe pure rinunciato, avrebbe dormito in stazione pur di restare con lei un minuto di più. E invece lei diceva «Mezz’ora» e lui già guardava l’orologio, il grande orologio dai numeri gialli che scattavano impietosi. «E quanto tempo passerà prima che tu torni?» Gli sembrava di aver già detto quelle parole, forse in un altro contesto, forse con un accento più accorato, come se provenissero da un’altra vita: era stato quell’ultimo giorno, nel salotto di lei, arredato come una stanza dell’Ottocento.

Il sole arroventava le pensiline, ne cadeva sotto forma di luce colando come i famosi orologi di Dalí. Due ragazzi abbracciati passarono sbaciucchiandosi, gli ricordarono Paola e lui di quindici anni prima, i due che adesso come estranei si stavano scambiando banalità, imbarazzati quasi di quel loro passato che era sembrato essere l’universo intero. Come attori che recitassero un copione stavano lì a parlare del tempo e del lavoro, a indignarsi per la situazione politica, quasi solo per il fatto di essersi incontrati dopo tanti anni in una stazione - per puro caso - un pomeriggio d’estate davanti al chiosco delle bibite, e due che si incontrano per caso in una stazione devono parlare del tempo, del lavoro e di politica, non certo dei loro amori. Magari, a incontrarsi in spiaggia o in un ristorante è ancora possibile, ma in una stazione! E l’orologio scattò ancora una volta.

«Ora bisogna proprio che vada» disse Paola e lo baciò sulle guance, lo stesso modo affettuoso di salutare che aveva anche allora. «Telefonami, se ti fa piacere». Rimase lì a guardarla, mentre si avvicinava al treno; i tacchi risuonavano forte sull’ammattonato. La vide salire e voltarsi ancora una volta, salutare con la mano. Rispose al saluto e non la vide più. Aspettò che il treno partisse, lo guardò andare via, finché non divenne un puntino sull’orizzonte, poi se ne andò portando nella memoria e nel cuore un’altra scena di addio.

3 maggio 1995

 

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JACK VETTRIANO, “THE RAILWAY STATION”

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