sabato 4 ottobre 2014

Ragazza seduta in treno


La ragazza siede pensierosa. Ha il muso che ricorda un topolino, ma non è brutta, anzi. Indossa un tailleur nero alla moda. Le gambe sono fasciate da collant scuri. La mise si adatta bene al biondo dei capelli, evidentemente non naturale.

Ha le gambe accavallate. Sta pensando che il suo seno è troppo grosso, imbarazzante quasi. E ricorda quasi con rabbia i giorni in cui si guardava allo specchio e pregava che le sue piccole mammelle crescessero. Ora invece, quando si guarda allo specchio, nota ogni giorno di più - o almeno così a lei sembra - che il suo seno fatica a reggersi da solo, che un po’ cade. E non ha ancora trent’anni. È per questo che ama strizzarlo in un reggiseno, sentirlo compresso e al sicuro, come un gioiello in una cassaforte. Quando cambia posizione alle gambe, una macchia rossa compare dove la gamba sinistra poggiava sulla destra, qualche centimetro sopra il ginocchio. Sembra non accorgersene. Ora tiene le gambe parallele, strette strette, e le ginocchia sporgono in fuori come promontori gemelli, ne hanno quasi l’aspetto roccioso nella grana dei collant, che le ditte produttrici chiamano “denari”.

Adesso sta pensando alla sabbia, al fastidio che dà quando si incolla alla pelle, quando penetra sotto il costume e si incolla al corpo come una specie di malta, s’infila nelle pieghe. E si figura il sollievo di una doccia, la mano saponata guantata di crine che lava via le impurità, il getto che dall’alto massaggia il suo corpo, i capelli imbevuti, il collo che ne riceve beneficio, i muscoli della schiena che si tirano e la fanno sentire bene.

Torna ad accavallare le gambe: la sinistra poggia sulla destra, nel movimento la gonna corta è risalita un po’ sulle cosce; con un rapido gesto delle mani la risistema. Il pensiero che stava seguendo si è perso, come in un gomitolo che abbia molti capi, tutti dello stesso colore.

Così adesso sta pensando a certi sguardi pieni di concupiscenza che gli uomini le rivolgono: alcuni  sono molesti come mosconi nei caldi pomeriggi d’estate, ti si appiccicano come una seconda pelle, una tutina elasticizzata; altri sono carezzevoli e dolci come un vento primaverile, fanno piacere come la mano di un amante che scivola leggera sul viso, che lentamente si impossessa di tutto il corpo. Ha sempre apprezzato di essere guardata così, come una dea, come un’incarnazione di Afrodite. Non come un oggetto di sesso.
Con una mano si tocca le labbra, soprappensiero. Solo adesso si accorge del panorama che scorre dietro il finestrino impolverato: vi presta attenzione per un po’, vede fabbriche, magazzini di periferia, alberi che si susseguono, binari e poi case, passaggi a livello, un campo da golf, strade percorse da automobili.

Torna a seguire i suoi pensieri. Si sente sicura con il suo seno ingombrante ben represso nel reggiseno nero di una misura inferiore.

 

1998

 

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EDWARD HOPPER, “COMPARTMENT C, CAR 293”

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