sabato 15 agosto 2015

Dondolato dal vagone

 

Hopper era affascinato anche dai treni. Ad attirarlo era l'atmosfera delle carrozze semivuote che si fanno strada nel paesaggio: il silenzio che regna al loro interno mentre fuori le ruote sferragliano ritmicamente sui binari e lo stato di trasognamento indotto dal rumore e dal panorama esterno, un trasognamento che pare quasi strapparci a noi stessi e indicarci la via d'accesso a pensieri e ricordi che non riuscirebbero a emergere in circostanze più ordinarie. La donna di Scompartimento C, Vettura 293 (1938), che legge e fa vagare lo sguardo tra carrozza e paesaggio, sembra trovarsi proprio in questo stato mentale.
ALAIN DE BOTTON, L’arte di viaggiare, Guanda, 2002, pagina 58

Sì, sogno, anzi “trasogno” anch’io quando viaggio in treno, lasciandomi cullare dal paesaggio che cambia velocemente dietro il finestrino: è bellissimo riuscire a vedere, specie nelle giornate di pioggia, il proprio volto riflesso e contemporaneamente il panorama, come in certe fotografie dalla doppia esposizione.

Ed è capitato spesso, visto che ho usufruito per anni dei servizi molte volte inadeguati delle patrie ferrovie, sin dai tempi del ginnasio e delle panche di legno – era il 1980, non l’Ottocento! – quando quei vagoni, talora con gli scompartimenti, furono il teatro dei primi amori e dei primi rossori, di amicizie che si sono poi anche perdute ma che restano vive nel ricordo, di scherzi memorabili, di idiozie come salutare “Ciao, Nanni!” rivolti verso il quadretto turistico (erano i tempi in cui andava in onda Viaggio in seconda classe, un programma di Nanni Loy con candid camera proprio in scompartimenti simili a quelli).

Poi, più compunto, in direzione Milano, viaggiai verso l’Università – e allora si parlava di diritto penale, del possesso come elemento fondamentale dell’usucapione, ma anche di calcio e di donne, come in quella famosa canzone di Battisti. Per un anno viaggiai anche qualche volta sulla tratta Milano Centrale-Verona-Bolzano-Merano Maia Bassa: il militare, certo, con i capelli corti e il borsone, la nostalgia a tracolla e il tempo che scorreva lento dietro i finestrini. Ma troppi erano i cambi, troppe le attese nelle stazioni: preferii da subito il comodo pullman di linea Bergamo-Merano. E ancora mi capitò più avanti di sedermi con la mia elegante borsa da avvocato su sedili più moderni, simili a quelli della metropolitana.

Anch’io, come la misteriosa signora del celebre e celebrato dipinto di Edward Hopper citato da De Botton, in treno amo leggere – aborro la conversazione, quindi mi isolo con le cuffiette dell’iPod – e di tanto in tanto mi perdo con lo sguardo a inseguire i miei pensieri, quasi che si manifestassero nel vetro spesso sporco di una carrozza come se fosse uno schermo magico. Piacevolmente “dondolato dal vagone” come il Guccini di Incontro, metto ordine nelle cose che mi sono capitate nella giornata, organizzo le idee, le associo a ricordi, le annodo in speranze. Se mi vedete “trasognato”, vi prego di non chiedermi se il treno ferma a Milano Greco Pirelli o se mancano tante fermate a Terno d’Isola: spezzereste il mio sogno come una bolla di sapone e magari per vendetta vi farei scendere a Ponte San Pietro…

 

2013

 

EDWARD HOPPER, “COMPARTMENT C, CAR 293” (1938)

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