sabato 1 agosto 2015

La poesia

 

Il primo libro di poesie che acquistai fu "Vita d’un uomo", la raccolta di Ungaretti. Le mie prime poesie dunque nacquero in quello stile e con quella metrica. A dire il vero, specialmente in età più avanzata, Ungaretti abbandonò i versicoli e scrisse ad esempio "Ultimi cori per la Terra Promessa". Fu "Nostalgia" a folgorarmi: la copiai in un quaderno e cominciai a pensarvi, forse perché così estranea al mondo della guerra che costituiva gran parte delle poesie raccolte. Era quella signorina in un canto di ponte a intrigarmi, quell'uomo dall'altra parte, la solitudine che invece di dividere unisce.

L'occasione che mi spinse a scrivere fu invece un'agenda che mi venne regalata all'inizio dell'anno: cominciai a vergarvi i miei versi, avevo poco più di 15 anni. Era un'altra epoca, anche della mia vita: le mie poesie di allora fanno sorridere per l'ingenuità, però non me ne vergogno, sono come le fotografie di allora...

Qualche anno dopo mi appassionai ai sonetti e ai madrigali, mi intrigava il gioco obbligato della rima, l'incasellare le sillabe nei versi rispettando gli accenti. Il mio scopo era in effetti quello di nascondere la rima, fare in modo che non risultasse banale, che passasse quasi inosservata. Quando trovai in Gozzano la rima "Nietzsche" - "camicie" vidi la luce. 

Montale fu in seguito il modello cui tendevo, sia per il ritmo metrico, sia per l'uso di parole ricercate: “Debole sistro al vento di perduta cicala” è inarrivabile: come pensare a quell'antico strumento musicale? Eppure quando ne vidi un’immagine sull‘enciclopedia, capii che non poteva essere che quello il suono delle cicale: lo sfregamento di una lamina di metallo.

Ungaretti diceva che non leggeva Montale per "non sporcare la sua poesia". Invece leggere opere di altri poeti è  fondamentale: si impara sempre qualcosa, sia sulla metrica, sia sul modo di esprimere le proprie sensazioni. Alla fine credo di avere sviluppato uno stile mio, basato sulla musicalità dell’endecasillabo, anche se non sono un fondamentalista e, se gioca a mio favore, piego gli accenti del verso e persino la misura alla linearità del discorso.

La poesia non è altro che scrivere con il cuore, estrinsecare un'emozione o un sentimento che altrimenti andrebbero sprecati. Per questo scrivo poesie: per sfogare quello che ho dentro, per riuscire a comprenderlo. Vederlo sulla carta mi conforta, mi fa meno paura.

Agosto 2001

 

Man in the moon

CATRIN WELZ-STEIN, “THE MAN IN THE MOON”

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