sabato 21 novembre 2015

Per i suoi occhi

 

Io e lei eravamo buoni amici, forse di più: tra di noi c’era quella festa, quel bacio in giardino. Forse pretendevo da lei che se ne ricordasse. Un mese dopo la rividi: era alla stazione, aspettava qualcuno in auto. Appena l’ho vista, ho capito: “Non è più la stessa”. Un mese l’aveva cambiata, ma cos’era successo?

Le apparenze non ingannavano, me ne resi conto mentre mi guardava e arrossiva, lo intuii anche dal suo comportamento. E poi dovette ammettere la sua presenza lì: “Aspetto il mio ragazzo” spiegò e lo disse come se tra noi non ci fosse mai stato niente, neanche quel bacio, neanche le volte che eravamo usciti insieme.

“Ciao, chiudi la portiera, per favore” mi disse e mi tremarono le gambe e sentii un vuoto risucchiarmi lo stomaco. Risalii sulla mia auto e ripartii velocemente: volevo scordarla, volevo pensarci sopra, volevo andare via, lontano da lì, lontano da tutto – non so neanch’io cosa volevo – e intanto vagavo per la campagna, correvo nel vento e nel sole. Ferito dalla sua spada di bugie, dai suoi occhi che avevo creduto sinceri.

Poi un passaggio a livello abbassato, un’occasione per pensare con calma: cercavo di ritrovarmi, guardavo nello specchietto retrovisore il cielo metà bianco e metà azzurro, i prati secchi dell’inverno, gli alberi spogli. Un attimo, e poi ancora lei, forse volevo illudermi che non l’avrei rimpianta. Sapevo già che non ci sarei riuscito: lei non era una parentesi, mi aveva dato la sua amicizia, il suo amore. E ora cosa dovevo fare? Legarmi a un ricordo? E dopo?

Il treno sfrecciò via borbottando e ripartii a tutto gas. Rivedevo il nostro incontro: me l’aveva presentata un amico ma già la conoscevo di vista. Rivedevo quella festa come un film, quante volte ci avevo pensato prima di quel giorno: la birra, ballare e quel bacio sul dondolo in mezzo ai fiori.

Poi la burrasca, quel ciao che sembrava le avessi estorto, quel ciao che le avevo regalato, che forse avevo sprecato. Non poteva andare così, non doveva finire così. Fermai l’auto: avevo bisogno di pensare con calma, dovevo cercare di capire.

Decisi di smetterla di vagare senza meta e tornai a casa, a rimpiangere i suoi occhi.

 

13 settembre 1984

 

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