sabato 7 novembre 2015

Sinfonia in grigio veneziano

 

Era un giorno di novembre, grigio. Una pioggia sottile e fredda cadeva da un cielo grigio sui canali, si rifletteva nell’acqua stagnante della marea, dipingeva una Venezia grigia ad acquerello dove anche le cupole e i campanili si stemperavano - uniche macchie di colore, ma sbiadite anch’esse, gli stendardi delle mostre e le righe azzurre dei pali d’attracco.

Avevo visitato la Scuola di San Rocco prima di risalire per il dedalo di calli e rii fino a Piazza San Marco a gettare altri sospiri oltre quelli del ponte. Le pietre del piazzale erano lucide, come se qualcuno vi avesse rovesciato un’autobotte di vernice impregnante. C’erano pochi turisti a quell’ora, la gente si muoveva imbacuccata negli impermeabili sotto gli ombrelli. I colombi imperterriti becchettavano come se niente fosse, volavano via a frotte nel grigiore dove l’isola di San Giorgio svaniva in una nuvola di pioggia.

Ero grigio anch’io, grigio il giaccone di Gore-Tex, grigio il cappellino di lana, grigio soprattutto dentro. Era tantissimo tempo fa, non mi ero ancora affacciato a questa consapevolezza del vivere che adesso, più maturo, mi fa accettare le cose. Forse ero soltanto giovane, quella era la mia malattia che mi faceva atteggiare ad un Werther di seconda mano. Era una malinconia cattiva quella che mi pervadeva, una tristezza che avrebbe anche potuto divorarmi. Quel giorno lasciai Venezia in treno, guardando la laguna dissolversi grigia nella luce che svaniva in un tramonto senza sfumature arancioni. Sarei tornato l’anno dopo, a luglio, con un altro sentimento a gonfiarmi il cuore nella luce sfolgorante del sole, con una maglietta rossa sui soliti blue-jeans. Cos’era cambiato? Che cosa mi aveva cambiato? Nulla: avevo conosciuto l’amore...

 

Venezia

FOTOGRAFIA © TUMBLR

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