sabato 11 giugno 2016

La punizione

 

Solitamente chi sbaglia e viene scoperto, paga. Chi commette un illecito, chi parcheggia in divieto di sosta, chi va contro una norma o un regolamento imposto dallo stato o da qualsiasi comunità. Anch’io ho pagato le mie multe, ho subito i miei castighi. Ma, della mia vita, ricordo queste due occasioni in cui la meritata punizione non arrivò.

La prima: avevo 17 anni, frequentavo la seconda liceo classico e quel mattino tutta la scuola partecipò nei locali della Borsa a una conferenza su Luigi Pirandello. Noiosa assai, barbosa, pallosa. Fuori la città pulsava nel sole di primavera, il cielo era azzurro, i negozi erano aperti e invitanti. Dopo l’intervallo, presi e me ne andai raccogliendo per strada anche un ragazzo di prima liceo. Pur non essendoci lezione, tecnicamente bigiammo, anzi “impiccammo”, come si diceva a Bergamo: erano le 11 e la conferenza sarebbe durata fino alle 12.45, l’ora in cui mi fiondavo in stazione per prendere il treno dell’una; nessuno si sarebbe accorto che mancavo. Prendemmo la vicina funicolare e salimmo in Città Alta, girovagammo per i vicoli medievali, comprammo una focaccia ciascuno e ci sedemmo a mangiarla sulle Mura guardando in basso il formicaio della città muoversi nel sole di maggio. Scendemmo per tempo e all’una, salutato il mio occasionale Pinocchio (dovevo essere io Lucignolo, se l’idea era stata mia), presi il treno e rincasai. Il giorno seguente la professoressa di latino e greco, appena entrata e sistemata sulla cattedra, mi chiamò - era diventata rossa, sintomo inconfondibile che segnalava la sua collera, anche se teneva un tono di voce perfettamente normale. «Ti è piaciuta la conferenza su Pirandello?». Raccolsi tutto il mio candore, rimasi perfettamente calmo e risposi «Sì», senza neppure arrossire. La prof disse «Bene» e lo disse in un modo in cui mi fece capire di sapere perfettamente cosa avevo fatto. La storia finì lì e non fui sospeso, come avevo temuto. Non bigiai più...

Sei anni dopo non ero più un adolescente ma un ragazzo di 23 anni. Ero un soldato semplice dell’esercito italiano da un paio di mesi appena, un alpino - anche se secondo i gradi di caserma ero al posto più basso, “nipote di terza”. Mi trovavo al campo estivo di Ponte di Legno, nei boschi della Val Sozzine, alle pendici dell’Adamello. Quel giorno, erano i primi di luglio del 1988, l’intero campo era in fermento per l’arrivo di Giovanni Paolo II, che avrebbe celebrato messa in quota. Sarebbe atterrato con l’elicottero in un prato non lontano da noi e ci era stato tassativamente ordinato di non salire fino al punto di arrivo. Ma io quel giorno non avevo servizio - ed era un caso raro, perché ai “nipoti di terza” venivano affibbiati quasi ogni giorno. E a perdermi, come nel caso della conferenza di Pirandello, fu la noia, associata a una curiosità di vedere da vicino il pontefice polacco, che ho sempre stimato moltissimo. Così salii  lungo il pendio tenendomi chino tra l’erba alta. Non ero solo: arrivato al prato, scoprii che altri quattro o cinque alpini avevano avuto la mia stessa idea. L’elicottero con il papa atterrò, ma non riuscii a vederlo, perché spuntò il maggiore C. con la sua barba da ufficiale e qualche bicchierino già in corpo. Fuggimmo veloci, ci precipitammo lungo la discesa a rotta di collo. All’adunata della sera, il maggiore puntò la sua faccia paonazza verso la truppa radunata nello spiazzo tra i larici dove era stato collocato il pennone con la bandiera. «Avevo detto di non salire dove sarebbe atterrato l’elicottero!» disse con un’ombra di accento piemontese, «ma qualcuno non ha ascoltato le mie parole. Perciò i seguenti stiano puniti, 3 giorni di consegna semplice» e snocciolò i nomi di quelli che erano con me. Non il mio. Mi feci piccolo piccolo per quanto possibile, nascosi ancora di più il viso sotto la tesa del berretto da stupidi. Ma tutto finì lì né certo nessuno dei miei commilitoni fece la spia. Mi domandai perché nella lunga e fredda notte di guardia: forse, conclusi, essendo io da meno di un mese in quella caserma, il mio nome al maggiore C. non era ancora noto. Rigai dritto da lì in avanti, come avevo fatto a scuola dopo quella conferenza su Pirandello. Conclusi il mio anno di militare senza aver mai preso neppure un giorno di consegna.

E da allora ho fatto mio un motto dai Proverbi della Bibbia: «La punizione degli stupidi è la stupidità».

 

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