Le lettere, d’amore o meno, non si scrivono più: la tecnologia le ha cancellate dalla faccia della terra sostituendole con le asettiche e-mail e anche peggio con gli SMS prima e con i messaggi in chat o su Whatsapp dopo, facendo piombare il linguaggio in un abisso di k usate al posto del ch e di abbreviazioni numeriche o stenografiche spesso incomprensibili peggio di un cifrario.
Scriveva Pessoa nelle vesti del suo alter ego Álvaro de Campos: “Le lettere d’amore, se c’è l’amore, devono essere ridicole. Ma dopotutto solo coloro che non hanno mai scritto lettere d’amore sono ridicoli”. Certo, possono essere ridicole perché fuori contesto o perché, lette al di fuori della coppia cui sono riservate, diventano materiale per voyeur, o ancora perché contengono segreti che non devono essere rivelati. Ma in realtà - come Pessoa alias Álvaro de Campos sa bene, tanto da definire ridicoli coloro che non ne hanno mai scritte, un atto d’amore non può mai essere ridicolo.
In una scatola di cartone nell’armadio, con altri cimeli sopravvissuti miracolosamente al tempo (conchiglie, ciottoli levigati, monete, boccette di sabbia, biglietti del cinema, braccialetti, collanine, un suo nastro per legare i capelli) ho un bel plico di lettere d’amore scambiate nel corso degli Anni Ottanta con la mia ragazza di allora, che viveva in un’altra città – purtroppo non pensai all’epoca di tenere copia delle mie e neppure ricordo quali “capolavori” romantici le scrissi e posso soltanto desumere da qualche mia frase stralciata e riscritta da lei.
Quando apro quella scatola, quando tolgo le lettere dalle buste, mi sento catapultato in un’altra epoca, come se quel piccolo scrigno di cartone fosse una macchina del tempo: l’odore della carta, dell’inchiostro della biro con cui lei mi scriveva, dei profumi dolciastri e femminili con cui talora le spruzzava, sono l’essenza del tempo perduto, di un passato che non tornerà. Leggo di noi, come eravamo e come non siamo più, ma anche di band musicali che ricordo e che vedo ancora ingrassate e invecchiate bazzicare i programmi televisivi di memorie, di politici ormai consegnati alla storia o ghigliottinati dalle forche caudine di Mani Pulite.
Ne scorro ancora qualcuna, poi le metto via, le lego di nuovo con la fettuccia rossa di raso e le consegno a un altro momentaneo oblio rimuginando che Pessoa travestito da Álvaro de Campos in fondo aveva ragione…
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