sabato 21 gennaio 2017

Piano-bar Liceo

 

Al nostro liceo le lezioni cominciavano alle 8 e 20. Ma noi che arrivavamo in città con il pullman o con il treno, giungendo dalle valli, dal lago o dalla pianura, già prima delle otto eravamo nell’atrio. Io, ad esempio, partivo con l’unico treno utile delle 6 e 57 e alle 7 e 25 ero già fuori dalla stazione, nel lungo viale di ippocastani con le cupole e le torri sospese a mezz’aria nel panorama. La prendevo comoda con i miei amici del treno – salutavamo subito i chimici di Via Paleocapa, poi le ragazze dell’Istituto Magistrale di Via Angelo Maj. Rimanevamo io e chi andava allo scientifico di Via Masone. A Porta Nuova ci salutavamo e le nostre strade divergevano.

Così, prima delle otto, eravamo lì nell’atrio a chiacchierare, a scherzare, a fare passare il tempo; qualcuno andava a messa nella cappella della scuola, altri si perdevano a fumare come nella canzone di Venditti. Ma ci fu un periodo – di preciso non ricordo, certamente in seconda o terza liceo classico, visto che c’erano Angelo e Gianluigi – che potevamo accedere al salone delle assemblee al piano terra. E lì, meraviglia delle meraviglie, c’era un pianoforte!

Gianluigi sapeva suonarlo – era organista nella chiesa del suo paese e si vantava di suonare all’organo anche Renato Zero! – e così si sedeva sullo sgabello, sollevava il coperchio e cominciava a muovere le dita affusolate sui tasti. Fuori poteva essere inverno, scendere la nebbia o la pioggia, ma lì dentro d’improvviso scoppiava l’allegria. Erano brani di Lucio Battisti o di Claudio Baglioni, era Beethoven o i Queen, poteva anche essere Guccini o l’ultimo successo sanremese. Quei venti minuti in attesa della campanella volavano con spensieratezza. C’era anche quella di III B dello scientifico a cui facevamo tutti segretamente il filo, e facevamo gli “splendidi” anche per lei. Una volta esagerai, presi un foglio di quelli perforati dal quaderno che usavo per gli appunti, vi scrissi in grande “Per favore non sparate sul pianista” e lo appoggiai sul piano. Non ci fu il fragore di un saloon del vecchio west ma un’esplosione di risate.

Poi inevitabilmente, la campana suonava come una sentenza, Gianluigi chiudeva il coperchio del pianoforte, prendevamo le nostre borse e ci avviavamo verso le scale per entrare in aula e cominciare un lungo e noioso mattino, sperando di essere pronti per i compiti in classe – chiamati in gergo locale “esperimenti” – e le interrogazioni.

 

Piano bar

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