sabato 30 agosto 2014

Il caleidoscopio

 

Ora molto tempo è trascorso e il vecchio gioco che facevo allora è mutato, proprio come la figura dentro il caleidoscopio: i pezzi di vetro sono gli stessi ma disposti in maniera diversa, alcuni che erano nascosti ora sono in luce, altri che erano in primo piano sono invece sullo sfondo.

Eccoci lì, sdraiati nell’indolenza di un pomeriggio di mare, con la sabbia che entrava nel tuo costume e le mie ciabatte di corda: una coppia sperduta tra i gabbiani e le onde, tra i bagnanti che affollano la spiaggia e inseguono palloni sul bagnasciuga. Abbiamo vent’anni e stiamo parlando delle poesie di Catullo. In quel momento ignoro ancora che tu sarai la mia Lesbia, che mi spremerai il cuore e te ne andrai. È un tempo felice: la sera andremo a ballare, oppure a passeggiare sul lungomare, scenderemo in spiaggia e il vento ti incollerà addosso il vestito, soffierà i tuoi capelli sul mio viso. Ci baceremo, faremo l’amore nello spiazzo dietro le cabine.

Un’altra scena, evocata dal gioco. Una sera di settembre, con la tristezza che lascia la fine dell’estate nelle località di mare, una malinconia sottile che pervade ogni cosa, che si manifesta nei pochi ombrelloni rimasti, nelle sdraio ammassate dal bagnino nel ripostiglio, nei preparativi per un lungo inverno, quando molti negozi avranno le porte serrate da assi di legno e forse arriverà anche la neve a fare bianca la spiaggia. Andiamo per le strade, tra i pini, e la mia giacca è sulle tue spalle perché hai sentito un brivido improvviso. La luna è piena e vicina, si sdoppia nel mare. Com’eri bella quella sera, com’eri fragile! Una fragilità che non ti apparteneva, che ti faceva ancora più vicina a me e alle mie debolezze. Un momento. Un momento solo. Le stelle brillavano vivide, i grilli cantavano alla notte di resina e sale, indifferenti all’annuncio dell’autunno.

E poi un’altra immagine: un mio arrivo improvviso, non annunciato, la sorpresa di un ritorno. Ti ritrovai già in spiaggia, con un bikini bianco e nero. Mi gettasti le braccia al collo, io ancora con la camicia, i calzoni e le scarpe inglesi. Avevamo bisogno di noi, avevamo bisogno l’uno dell’altra allora: era davvero amore, se anche poi quel calice di cristallo si è incrinato ed è infine scoppiato in mille pezzi, i pezzi di questo caleidoscopio del ricordo che ancora adesso, dopo tanto tempo, mi piace andare ad osservare con la nostalgia di quando si ritrova un gioco che avevamo quando eravamo bambini.

 

Spring fever

HEIDI MALOTT, “SPRING FEVER”

2 commenti:

Penelope ha detto...

rivedersi come in un caleidoscopio a volte fa male... rimangono in evidenza pezzetti che dovrebbero restare nascosti

DR ha detto...

è il lato acuminato della nostalgia, quando la dolcezza del ricordo ferisce con le sue spine.